Giuli l’Oscuro (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

«Di fronte a un cambiamento di paradigma — la quarta rivoluzione epocale, delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale — il rischio che si corre è duplice e speculare. L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della iper-tecnologizzazione e, per converso, l’apocalittismo difensivo, che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro, intese come una minaccia. Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi?».

Di sicuro in quella dell’incomunicabilità, se il nuovo ministro della Cultura decide di presentarsi a una platea scelta di deputati e senatori con un testo che aspetta ancora uno studioso di lingue sumeriche, o un elettricista, in grado di illuminarlo. Azzardo volesse dire che le nuove tecnologie non vanno né esaltate né demonizzate. Ma allora perché non l’ha detto?

Le ipotesi sono tre. La prima è che Giuli sia un buontempone e abbia pronunciato quei paroloni al puro scopo di godersi le facce dei parlamentari, per alcuni dei quali già «aò, li mortacci» rappresenta un pensiero complesso. La seconda è che sia il classico intellettuale italiano — di destra o di sinistra, in questo non ci sono differenze — incapace di distinguere profondità e oscurità.

La terza ipotesi è che Giuli sia un genio e abbia scoperto il modo per scansare le gaffe in cui il suo predecessore era maestro.

Come si fa a capire quando uno dice una sciocchezza, se non si capisce un tubo di quello che ha detto?

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