La pagliacciata di Salvini, sedicente martire del caso Open Arms (linkiesta.it)

di

Presunto perseguitato

Il 18 ottobre, il capo della Lega convoca tutti i suoi parlamentari a Palermo per far pressione sui magistrati. Vuole sfruttare la cattiva immagine dei pm per fare il pieno di consensi, perché non ha altri strumenti

A Palermo, a Palermo, tutti a Palermo per stringersi attorno al capo che difende i confini italiani dai migranti “sequestrati” sulla Open Arms. Il 18 ottobre, i parlamentari leghisti sbarcheranno nel capoluogo siciliano nel giorno in cui è prevista l’arringa difensiva di Giulia Bongiorno.

Matteo Salvini, che sarà accanto alla sua senatrice-avvocato nell’aula bunker, ritorna a trasformare un processo in un set televisivo, in un circo mediatico. Come avvenne a Catania nell’ottobre del 2020 per l’avvio del processo che vedeva il leader della Lega alla sbarra, con l’accusa di avere sequestrato centosessantaquattro migranti sulla nave Gregoretti. Per la cronaca, il processo si concluse con “non luogo a procedere”.

Adesso, che per la Open Arms rischia sei anni di carcere, Salvini si augura di essere un po’ martirizzato (rinviato a giudizio) per crescere nei sondaggi e, soprattutto, nelle urne regionali della Liguria, dell’Emilia Romagna e dell’Umbria.

Sarebbe una Pontida permanente, una campagna elettorale con l’aureola patriottica del perseguitato, una prova di forza del suo controllo del partito, perché a Palermo lui li vuole tutti, i senatori e i deputati, anche quelli europei. Chi il 18 ottobre sarà assente non giustificato verrà messo all’indice e non candidato al prossimo giro elettorale.

I parlamentari del Carroccio dovranno far sentire la propria voce e la pressione sui magistrati che dovranno decidere se il processo dovrà andare avanti o arenarsi, come successe a Catania.

Un pezzo della maggioranza governativa scagliato contro i pubblici ministeri, che tiene il fiato sul collo il giudice delle indagini preliminari, che mette in guardia i giudici che, eventualmente, dovranno emettere una sentenza.

In principio furono i centocinquanta parlamentari del partito della libertà che l’11 marzo del 2013 “occuparono” il tribunale di Milano mentre nel palazzo era in corso il processo Ruby. A capo della marcia c’era il segretario del Popolo della Libertà, Angelino Alfano, il quale minacciò di salire al Colle e di fare l’Aventino: il centrodestra era pronto a non partecipare alle prime sedute del Parlamento fresco di nomina e di non sostenere un governo a guida Partito democratico. Finì con il governo Letta e con Alfano ministro dell’Interno. Corsi e ricorsi della storia aventinana.

Era un’altra epoca, ma il vizio della politica e del potere di fare pressione sulla magistratura è un eterno ritorno approfittando, in questo momento, della difficoltà di immagine che un pezzo anche simbolico della magistratura sta vivendo.

L’altro giorno sono stati condannati a otto mesi i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro per non avere depositato atti favorevoli alle difese nel processo Eni/Shell-Nigeria, conclusosi a Milano con l’assoluzione di tutti gli imputati, tra i quali l’amministratore delegato Eni Claudio Descalzi.

Non può essere però un partito, soprattutto se fa parte di una maggioranza di governo, a trasformarsi in una clava sulla testa di alcuni magistrati come quelli di Palermo, i Pm del processo Open Arms che vengono tacciati di fare politica, di sindacare sulla scelta politica di un ministro che tiene diversi giorni dei poveri cristi su una nave, in attesa che i Paesi europei se li prenda.

A parte le pernacchie che allora Salvini ricevette anche dagli amici Patrioti, portare lo squadrone parlamentare a Palermo è fuori da ogni dinamica costituzionale. La politica, a maggior ragione se al governo, si deve muovere per via parlamentare, non agitarsi in piazza.

Il ministro Carlo Nordio, che scriveva alati articoli nella sua precedente vita da pubblicista, non ha nulla da dire al suo collega leghista?

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