I poveri vergognosi (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

L’espressione «povero vergognoso» nasce nella Firenze del Quattrocento, quando il santo Antonino Pierozzi fa distribuire in segreto il pane ai nobili decaduti, poco abituati a chiedere l’elemosina.

Ma è nella Torino del Settecento, educata al valore della dignità, che nascono le associazioni di beneficenza per dare sostegno a un tipo particolare di persone in disgrazia. Quelle che, lungi dall’esibire il loro stato come arma di ricatto emotivo, cercano pudicamente di nasconderlo.

Vecchie storie, lette sui libri e sepolte in qualche angolo della memoria, che la cronaca di questi giorni ha fatto tornare a galla. Prima il signore licenziato a sessant’anni, con compagna e figlia a carico, che bussa a decine di negozi proponendosi come fattorino, cerca addirittura di farsi ricoverare in ospedale per rimediare un pasto caldo e infine crolla svenuto sul marciapiede di un’elegante piazza di Roma.

Poi quella donna di qualche anno più anziana, sorpresa a mangiare prosciutto e formaggio tra gli scaffali di un supermercato nel Mantovano, che si rovescia le tasche per pagare il conto (18 euro) e si imbarazza perché non riesce a saldarlo tutto. Hanno provveduto dei carabinieri meravigliosi, così come la moglie del presidente della Lazio ha offerto un lavoro al signore di Roma.

Ma il pensiero va all’esercito di «poveri vergognosi» di cui quei due sono soltanto l’avamposto, che ogni giorno, infilato l’ultimo cappotto buono, escono di casa per sbarcare il lunario. E che per diventare una notizia devono morire di fame.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *