di Damiano Aliprandi
Difendendosi per le conversazioni intercettate con l’ex collega Natoli, attacca l’Antimafia per non aver seguito le sue indicazioni.
Ma la commissione non può riciclare vecchi teoremi fallimentari
Non c’è nulla di male nell’aver parlato con il suo ex collega Gioacchino Natoli in vista dell’audizione in commissione Antimafia, e soprattutto afferma di non aver concordato nulla.
Si ritiene vittima di un complotto per farlo estromettere da commissario, perché dà fastidio. E ancora, si lamenta che la presidente Chiara Colosimo non abbia accolto le sue indicazioni scritte nella memoria, sottoscritta da tutti i commissari grillini, non dando valore al metodo di indagine di Giovanni Falcone.
Questo in sostanza è il contenuto dell’intervista rilasciata – come da prassi – al Fatto Quotidiano dell’ex capo procuratore e ora senatore grillino Roberto Scarpinato, che ha dalla sua parte anche l’intero Pd pronto a difenderlo a prescindere, tanto da aver scritto un comunicato in sua difesa addirittura anticipando quello del Movimento Cinque Stelle. Un caso unico nel panorama politico italiano.
La vicenda è nota. Gioacchino Natoli, indagato dalla procura di Caltanissetta, era sotto intercettazione. Come riporta La Verità, e non smentito su questo punto, ha svolto circa 30 telefonate con l’ex collega Scarpinato. Altro punto non smentito è che i dialoghi vertevano sul discorso della questione mafia-appalti e più nello specifico sul filone proveniente da Massa Carrara, finito per essere archiviato con tanto di richiesta della distruzione dei brogliacci e smagnetizzazione delle bobine.
Il caso vuole che l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Borsellino, ben prima che giungesse l’avviso di garanzia a Natoli, abbia messo in rilievo proprio il problema della nota del procuratore di Massa Carrara Augusto Lama sulle indagini svolte dall’ex maresciallo Franco Angeloni sui fratelli Buscemi, Cimino e Francesco Bonura relativo ai loro affari con la Ferruzzi Gardini. Elemento che sarebbe stato un’ottima integrazione con il dossier mafia-appalti, redatto dagli ex Ros sotto la supervisione di Giovanni Falcone.
È scoppiato il putiferio. Natoli ha rilasciato l’intervista al Fatto Quotidiano, Verini del Pd, prontamente, ha chiesto alla commissione Antimafia di sentirlo visto che, a detta sua, avrebbe smontato la ricostruzione dell’avvocato Trizzino. In quel frangente, Scarpinato ha dialogato con Natoli sul punto. Se effettivamente il senatore grillino si è limitato ad esortare Natoli a riferire, con rigore, all’Antimafia la vicenda per fare chiarezza, non c’è assolutamente nulla di male.
Se alla battuta di Natoli “Tu lancia la palla e io schiaccio”, Scarpinato – da uomo delle istituzioni – si è indignato visto che è poco edificante scambiare l’Antimafia per un campo di pallavolo, dove giocano per segnare punti, questo gli renderà onore. Al contrario, la questione ha una enorme rilevanza politica.
Ma non possiamo dubitare delle parole di Scarpinato e sicuramente sarà lui stesso a pretendere che siano rese pubbliche tutte le sue intercettazioni, non avvalendosi delle doverose prerogative da parlamentare. “Non ho nulla da nascondere”, ha replicato. Nel caso emergesse quello che dichiara, sarà giusto che pretenda delle scuse.
Ma il problema non sono solo le intercettazioni. Già dalle audizioni dell’avvocato Trizzino e Lucia Borsellino, si è verificato uno scontro. Inevitabilmente, durante la ricostruzione fiume è emerso più volte il nome di Scarpinato, tanto è vero che c’è stato un battibecco tra lui e l’avvocato, al punto che la presidente Colosimo ha dovuto richiamarli.
Quando poi Scarpinato stesso è intervenuto per porre la domanda al legale dei Borsellino, ha premesso: “Io non farò alcuna domanda sulle parti delle dichiarazioni dell’avvocato Fabio Trizzino che riguardano la mia persona”. Lo ha fatto, disse, per eleganza istituzionale. Sacrosanto.
Ma poi ha proseguito con mezz’ora di domande, scambiandole forse per una requisitoria, sul procedimento mafia-appalti che, appunto, riguardava anche lui. Inevitabilmente, qualche commissario della maggioranza ha posto una questione di “conflitto di interesse”.
Mai si è verificata una situazione del genere e nel regolamento non c’è alcun articolo che regoli la questione. La presidente Colosimo ha rimesso la questione a Scarpinato stesso. Il quale non solo ha deciso di rimanere, ma si professa vittima.
Non finisce qui. Il senatore pentastellato lamenta di essere oggetto di una campagna per estrometterlo dall’Antimafia, motivata, a suo dire, dalla volontà di impedire l’emersione della verità. Ma quale verità? Scarpinato insiste affinché la presidente Colosimo prenda in considerazione le sue tesi, ritenute fondamentali per approfondire le stragi del ’92 e del ’93.
Tuttavia, la situazione è paradossale: un magistrato che ha dedicato decenni alla ricerca di “entità”, senza risultati concreti, pretende ora che la commissione riprenda le sue indagini che non hanno avuto alcuno sbocco.
Il rischio di un uso privatistico di un organismo politico è all’orizzonte. Per ora, scongiurato. Sarebbe singolare che la commissione diventi l’ultimo appello per inchieste giudiziarie fallimentari, soprattutto quando si tratta di riaprire una riedizione di “Sistemi criminali”, che lo stesso Scarpinato aveva chiesto di archiviare per totale mancanza di prove.
Come già evidenziato da Il Dubbio, lo stesso Scarpinato, in un’intervista televisiva della Rai, ha sostenuto l’esistenza di un documento che, a suo dire, proverebbe la presenza di Stefano Delle Chiaie a Capaci. Anzi, ha affermato che se lo avesse avuto, ai tempi non avrebbe archiviato “Sistemi criminali”. Tale affermazione, tuttavia, si scontra con la realtà: il documento in questione è inutilizzabile, essendo un doppio “de relato” privo di qualsiasi valore probatorio.
Analogamente, la richiesta alla Colosimo di riaprire piste investigative ormai come la “pista nera”, Gladio, P2, e fare tutto un minestrone, appare del tutto infondata. Queste teorie, vagliate innumerevoli volte nel corso degli anni, non hanno mai trovato alcun riscontro concreto. Riproporre, giusto per fare un esempio, le dichiarazioni di un Roberto Volo, senza specificare che Falcone stesso le ha vagliate e cestinate, è davvero singolare.
Va inoltre ricordato che la questione delle “donne bionde” (rientra nel romanzo fantagiudiziario) era già stata al centro della commissione precedente presieduta da Nicola Morra, con la consulenza di Gianfranco Donadio. Quest’ultimo è lo stesso che da magistrato non solo non ha prodotto risultati significativi sul punto, ma è stato anche oggetto di denunce disciplinari da parte di ben due procure.
Se la presidente Colosimo avesse seguito le indicazioni di Scarpinato, si sarebbe perso tempo prezioso e oggi non sapremmo quali carte avesse in ufficio Borsellino e quali indagini stesse effettivamente svolgendo. Grazie alla desecretazione operata dalla presidente, sappiamo con certezza che stava conducendo indagini a 360 gradi sugli appalti, analizzando tutti i fascicoli fino al giorno precedente l’attentato. E ancora c’è tanto da rendere pubblico, ad esempio gli appunti scritti da Borsellino stesso, la missiva con tanto di tabulato che il giudice ha ricevuto dal mistero della giustizia appena dopo la strage di Capaci e tanto altro ancora.
Interessa a qualcuno? Il metodo Falcone, evocato da Scarpinato, non è partire dai massimi sistemi, ma consiste nell’approfondire i fatti criminosi concreti e ottenere una visione d’insieme. Ma soprattutto, Falcone era pragmatico e stigmatizzava la visione complottista da quattro soldi.
Scarpinato, nel suo intervento su Il Fatto, cita Leonardo Sciascia, ma questa evocazione non è calzante. Appare fuori luogo citare lo scrittore di Racalmuto, il quale ha dedicato, attraverso le sue opere, a denunciare l’amministrazione della giustizia, sottolineando come l’Inquisizione rappresenti un modello di conformismo, sopraffazione e cinismo ancora presente nei sistemi giudiziari.
Sciascia, ne “Il Contesto”, descrive la figura del giudice Riches, dall’aria sacerdotale, come esempio di magistrato che, credendosi investito di una sapienza superiore e depositario di una verità assoluta, sottrae i propri giudizi a qualsiasi verifica razionale.
Dopo 30 anni, forse è ora di dire basta.