Si possono conciliare libertà di espressione ed esigenze di privacy degli utenti con una regolamentazione dei contenuti pubblicati sulle piattaforme social?
Ecco cosa ci insegnano in proposito l’arresto di Pavel Durov e il blocco di X-Twitter in Brasile.
Tra esigenze di privacy e notizie di reati
Nessuno dovrebbe stupirsi del fatto che negli ultimi anni – al crescere della rilevanza economica, politica e sociale dei social media – si sia parimenti fatto più intenso il dibattito pubblico sulle responsabilità dei soggetti che possiedono e gestiscono tali piattaforme.
Prescindendo in maniera decisa dall’illusione ideologica secondo cui il problema non riguarda i mass media tradizionali (giornali, radio e televisioni), un primo ordine di preoccupazioni a proposito dei social media come Facebook, Instagram, X/Twitter, LinkedIn e TikTok, insieme con le messaggistiche come Whatsapp e Telegram, riguarda il rischio di diffusione di fake news, che potrebbero avere effetti negativi rilevanti sulle scelte individuali (un esempio eclatante: cure “alternative” spacciate per efficaci per patologie gravi come quelle oncologiche) e sulle scelte collettive (quali informazioni ricevono gli elettori durante le campagne elettorali?).
Qualora poi reati gravi avvengano sfruttando i canali comunicativi costituiti dai social network, si pone un evidente problema relativo al conflitto – non più potenziale ma reale – tra le esigenze di privacy dei soggetti che usano i social network e le app di messaggistica da un lato, e gli obblighi di comunicazione alle autorità giudiziarie e di pubblica sicurezza dei diversi paesi in capo a chi gestisce le piattaforme e riceva notizie di questi reati.
L’arresto di Durov
Per quanto concerne il secondo tema, è vicenda che risale allo scorso agosto l’arresto a Parigi di Pavel Durov, fondatore di Telegram nel 2013 insieme al fratello Nikolaj. Durov è stato poi rilasciato dietro pagamento di una sostanziosa cauzione, ma resta sottoposto all’obbligo di soggiornare in Francia in attesa del processo.
Il fondatore di Telegram è accusato di dodici capi di imputazione, connessi essenzialmente al rifiuto di collaborare con la polizia francese in un’indagine sull’utilizzo di Telegram per compiere abusi sessuali su minori.
Nel contempo, la Commissione europea sta verificando se Durov abbia altresì violato il Digital Services Act (Dsa) fornendo numeri falsi sugli utenti di Telegram al fine di evitare la soglia dei 45 milioni che comporterebbe adempimenti maggiori da parte della sua piattaforma.
La necessità di trovare un compromesso tra le due esigenze (privacy degli utenti e cooperazione con le autorità di un paese in caso di reati) sembra relativamente gestibile in una tipologia di casi simili a questo: in particolare, è difficile credere a tutele assolute della privacy di fronte a reati come l’abuso su minori e lo stesso principio dovrebbe applicarsi quando social network e app di messaggistica vengono usati per scopi terroristici.
D’altro canto, la questione diventa profondamente più complicata quando – come nel problema dei tre corpi in astronomia – alle due tematiche confliggenti della privacy e della prevenzione o repressione di comportamenti criminali si aggiunge il terzo tema relativo alle intenzioni dei governi che agiscono contro i social network.
Quale giudizio formulare quando un governo autocratico mette sotto pressione i social network al fine di non avere ostacoli nel reprimere ogni forma di opposizione, cioè per ottenere informazioni rilevanti su chi fa resistenza al regime attraverso le piattaforme social?
Così come nello studio dell’economia pubblica – grazie al contributo essenziale della scuola della public choice di James Buchanan e Gordon Tullock – si è abbandonata l’idea, per taluni consolatoria, secondo cui l’intervento pubblico nell’economia è sempre deciso e amministrato da soggetti benevolenti, in maniera simile qui si dovrebbe abbandonare la valutazione assolutistica secondo cui i social network debbano necessariamente “inchinarsi” alle autorità politiche in quanto portatrici di un disegno necessariamente benevolente teso alla tutela dei diritti costituzionalmente garantiti.
Twitter bloccato in Brasile
Sotto questo profilo, un secondo episodio piuttosto rilevante è quello che ha riguardato, sempre nel mese di agosto, il social network X-Twitter, che è stato bloccato in Brasile dal giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes, a motivo della diffusione di contenuti ritenuti disinformativi e dell’assenza di un legale rappresentante di X-Twitter nel territorio brasiliano.
Chiunque utilizzi la piattaforma ha potuto verificare quanto aggressivamente Elon Musk, il suo proprietario, abbia contro-attaccato la figura del giudice de Moraes, perfino paragonandolo al malefico Voldemort della saga di Harry Potter. Sospendendo il giudizio su chi sia il cattivo in questa vicenda giudiziaria, dal punto di vista concreto va rilevato come i due contendenti siano poi arrivati a un accordo, nella forma della nomina di un legale rappresentante di X in Brasile e dell’eliminazione di contenuti disinformativi, a cui è seguita l’8 ottobre la riattivazione di X nel paese.
Come evolveranno tali questioni nel futuro? La mia opinione è che resteranno largamente delusi coloro i quali ideologicamente “tifano” per una delle due posizioni estreme, cioè una deresponsabilizzazione totale dei proprietari di social network sulla base della loro presunta neutralità e della tutela assoluta della privacy degli utenti, oppure dall’altro lato una regolamentazione statale estesa e intrusiva sui contenuti pubblicati, a danno della libertà degli utenti, i quali – sia detto senza ironia – potrebbero avere persino il diritto di leggersi le fake news.
Anche tenendo conto della dialettica politica e mediatica tra le forze in campo – come nel caso di X-Twitter in Brasile –, ritengo probabile il raggiungimento di un compromesso che è esattamente basato sull’idea che tutte le esigenze poste in campo sono legittime ma confliggenti, e dunque nessuna prevarrà in maniera assolutistica fino a cancellare le altre.
Non è forse questo il ruolo della politica?