Lavorare al freddo (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

L’operaia Stellantis si lamenta sul Corriere che in fabbrica manca il riscaldamento, i locali sono sporchi e persino la tuta bisogna portarsela da casa.

Però, diciamoci la verità: delle condizioni di lavoro, oggi in Italia, non importa niente a nessuno. Ci si indigna ancora, ma solo per pochi attimi, quando qualcuno ci lascia la pelle sotto un macchinario o in un campo di pomodori. E tutto finisce lì, dentro un sospiro di resa. Altre sono le battaglie in cui si spera di incidere e di migliorare la società. Il lavoro viene dato per perso.

Non esistono alternative, dicono: funziona così in tutto il mondo. Per sopravvivere le aziende devono fare profitti, e per fare profitti devono tagliare sul costo rappresentato dai lavoratori. Da qui i subappalti, il precariato, i bassi stipendi e i risparmi sulla sicurezza e sul resto, a cascata.

L’idea di un capitalismo dal volto umano sembra un ossimoro. Con le dovute eccezioni, non si fa impresa per distribuire benessere in modo capillare, ma per arricchire gli azionisti contendendo alle imprese rivali gli ultimi consumatori rimasti.

E questi consumatori sono sempre di meno perché per consumare un prodotto bisogna comprarlo, per comprarlo bisogna avere dei soldi e per avere dei soldi bisognerebbe poter lavorare con paghe e in condizioni dignitose.

Ma non fateci caso, le mie sono solo banalità da vecchio liberalsocialista cresciuto nel culto di Piero Gobetti e Carlo Rosselli, due riformisti veri che oggi passerebbero per comunisti nordcoreani.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *