Il caso I dati Istat 2023, 600 mila nuclei senza
sussidio, in manovra c’è solo lo spot «Carta
dedicata a te»:
5,7 milioni di persone erano in «povertà assoluta» l’anno scorso.
Il bilancio sarà più pesante il prossimo per i tagli ai sussidi. Ne arrivano altri con la legge di bilancio, a cominciare dai servizi sociali. Il sit-in della Rete dei numeri Pari a Roma: “Un’altra agenda sociale è possibile”
In Italia nel 2023 c’erano 5,7 milioni di persone e 2,2 milioni di famiglie in condizioni di povertà assoluta a cui si aggiungono 8,5 milioni di persone e 2,8 milioni di famiglie che sono lavoratori poveri e vivono in una condizione di «povertà relativa».
Se i primi non riescono ad assicurare a sé, e alla propria famiglia, una vita dignitosa, i secondi non arrivano nemmeno alla fine del mese.
Così i figli di entrambi ereditano in maniera diversa la povertà che si manifesta in molteplici dimensioni: relazionale e dell’istruzione, senza contare quella energetica e l’altra legata all’impossibilità di affrontare spese impreviste perché i soldi non bastano mai. Oggi la povertà colpisce maggiormente le famiglie numerose e con figli minori, le famiglie operaie, quelle del Mezzogiorno, quelle in affitto e i migranti.
È il ritratto che emerge dal rapporto annuale pubblicato ieri dall’Istat sulla povertà in Italia. Si tratta della fotografia di una situazione in transizione. È probabile, infatti, che l’anno prossimo di questi tempi racconteremo una situazione peggiorata dal governo Meloni negli ultimi 12 mesi.
I dati potrebbero infatti registrare gli effetti dell’abolizione del cosiddetto «reddito di cittadinanza» e della sua rimodulazione nel doppio canale dell’assegno di inclusione e del supporto alla formazione e lavoro. Stando agli ultimi dati dell’Osservatorio dell’Inps il taglio delle risorse voluto dal governo Meloni pari a 1,1 miliardi al vecchio sussidio ha espulso più di 600 mila famiglie che hanno ricevuto almeno una mensilità del «reddito di cittadinanza» negli anni scorsi.
Nel primo semestre del 2023 erano in totale 1.324.104 nuclei, sono diventati 695.127 nello stesso periodo del 2024.
Le conseguenze di questa operazione, non priva di una ferocia ideologica più volte mostrata dagli esponenti della maggioranza a cominciare dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni, sono state occultate. Nel sistema mediatico la povertà è andata fuori moda, salvo ieri in cui si è stata celebrata la «giornata mondiale per l’eliminazione della povertà».
Una responsabilità ce l’hanno anche le opposizioni che hanno preferito convergere sull’idea del salario minimo, respinta tra l’altro dal governo, e hanno abbandonato un progetto complessivo di rilancio del Welfare universale che va insieme alla lotta contro il lavoro povero e contro la precarietà.
La proposta avanzata ieri dall’Alleanza contro la povertà di un «reddito minimo europeo» – che potrebbe avere un immediata applicazione in Italia – arriva in un vuoto di elaborazione politica (ma non culturale) causato da una visione segmentata e categoriale del Welfare.
Nel frattempo Meloni ha insistito sui dati dell’occupazione che hanno registrato un aumento. In realtà si è trattato di lavoro povero e non riguarda in gran parte i poveri assoluti che sono tali anche perché non riescono a (ri)entrare nel mercato del lavoro.
La sovrapposizione di elementi eterogenei nella propaganda governativa è servita a separare l’argomento «povertà» da quello sul «lavoro povero». Ed è stata usata per dimostrare che i «poveri» oggi lavorano. Prima no, a causa dell’assistenzialismo.
In realtà i «poveri» non smettono di lavorare nella scandalosa economia sommersa che c’è in Italia. Infine Meloni ha rilanciato il mito dell’impresa, tanto cara alla destra postfascista neoliberale: va sussidiato l’imprenditore che «assume».
Il vero assistenzialismo è quello alle imprese. Alle destre piacciono le tradizioni. Eccone una. Qualcosa però non funziona nel magico mondo di Meloni & Co.
Lo ha dimostrato l’istituzione della «Carta dedicata a te» che sarà rifinanziata dalla prossima legge di bilancio con 500 milioni. È una misura incongrua e una tantum, da 500 euro a famiglia, che non può essere paragonata a una misura garantita. È pari a poco più di un caffè al giorno ed è rivolta a una minoranza di chi è stato escluso dallo governo dal «reddito di cittadinanza».
Si chiama pauperismo. L’umiliazione è la sua cifra. L’Italia è la sua «patria».
Rete dei Numeri Pari: Un’altra agenda sociale è possibile
«Il governo sta per varare una legge di bilancio pessima, ingiusta e inadeguata – ha detto Giuseppe De Marzo, coordinatore della Rete dei Numeri Pari in un sit-in ieri a piazza Capranica a Roma – Si può fare diversamente, come chiedono più di 700 realtà sociali che promuovono un’altra Agenda Sociale». Al sit in, organizzato in occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della povertà e contro il Ddl sicurezza, hanno partecipato numerose reti sociali. Tra gli interventi quello di Gaetano Azzariti, Marina Boscaino e Maura Cossutta. «Con questo governo, il numero di persone aumenterà» ha detto Tino Magni (Avs). «Una situazione difficile con la destra che si oppone al salario minimo e vuole fare l’autonomia differenziata» ha aggiunto Marta Bonafoni (Pd).
(Milano, in fila a “Pane Quotidiano” – Getty Images)