La giudice uscente della Corte di giustizia Ue: «Nessuno in Italia ha capito la nostra sentenza sui paesi sicuri dove rimpatriare i migranti» (open.online)

di Franco Bechis

La professoressa Lucia Serena Rossi bacchetta 
magistrati, politici e commentatori e chiarisce: 

«Spetta a ogni singolo paese decidere quella lista dei paesi sicuri»

«Mi sembra che questa sentenza in Italia non l’abbia capita proprio nessuno». È un giudizio tombale sul dibattito che ha infiammato lo scontro fra magistratura Italia e governo guidato da Giorgia Meloni a proposito dei 12 migranti trasferiti in Albania e poi rientrati in Italia per un provvedimento del tribunale di Roma che si basava su una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre 2024.

E il giudizio tranchant riguarda proprio questo testo della Corte di giustizia Ue. In Italia non l’avrebbe capito nessuno: né i giudici che hanno fatto rientrare i migranti dall’Albania, né i politici che hanno reagito o i giornalisti che l’hanno commentato.

A sostenerlo non è un giurista qualsiasi, ma la professoressa Lucia Serena Rossi, che il 28 marzo 2018 fu nominata dal governo di Paolo Gentiloni giudice della Corte di giustizia europea e che ha terminato il suo mandato il 7 ottobre scorso, tre giorni dopo la sentenza che ha fatto tanto discutere.

(Il centro di accoglienza in Albania)

La giudice uscente della Corte rivendica la propria indipendenza da chi l’ha nominata

La professoressa Lucia Serena Rossi ha bocciato tutti i protagonisti italiani in una lettera inviata al Giornale, per replicare a un articolo di Augusto Minzolini che intravedeva la manina sua e di Gentiloni dietro la pronuncia europea che ha fatto da sponda a quella dei giudici italiani che hanno bloccato i trasferimenti in Albania.

Nella lunga lettera la Rossi spiega di non avere vergato lei quella pronuncia e rivendica con orgoglio e una ragionevole spiegazione la sua indipendenza politica, anche dal governo Gentiloni che l’aveva promossa – prima donna nella storia d’Italia- a quel prestigioso ruolo di giudice europeo.

Per questo spiega: «La mia visione, per quanto irrilevante in questa specifica vicenda, deriva dalla mia competenza e dalla mia indipendenza, non certo da affiliazioni politiche o dal desiderio di compiacere l’una o l’altra parte di questo macabro scontro».

Tocca all’Italia e non ad organismi Ue stabilire dove rimpatriare i migranti

Ma è sul punto chiave che la Rossi fornisce un’interpretazione autentica della pronuncia europea assai diversa da quella fornita perfino dai magistrati italiani. «La sentenza, che riguardava un rimpatrio dalla Repubblica Ceca alla Moldavia, in realtà si limita a ribadire che è competenza degli Stati fissare la lista dei Paesi sicuri, aggiungendo che occorre prendere in considerazione tutto il territorio di tali Paesi senza poter escludere zone specifiche e che la lista deve essere riesaminata periodicamente per accertarsi che quei Paesi continuino ad essere sicuri».

In sostanza: non è l’Europa ad indicare la lista dei paesi sicuri in cui rimpatriare i migranti, ma ogni singola nazione che la compone. Quindi nel caso italiano è la legislazione italiana. La Corte di giustizia europea chiede in quelle liste che possono essere diverse per esempio in Francia, Germania e Italia, di considerare ogni parte del territorio per definire “sicuro” un paese dove rimpatriare il migrante.

E chiede anche ai singoli paesi di aggiornare periodicamente quelle liste, perché la situazione potrebbe cambiare negli anni (magari dopo colpi di Stato o eventi particolari che non mancano certo, ad esempio, nella storia delle nazioni africane). Ma è il governo italiano, e non un organismo europeo (né la commissione né la Corte di Giustizia) a definire quella lista di paesi sicuri.

Quel che è avvenuto in modo aggiornato proprio con il decreto-legge del governo Meloni successivo alle sentenze del tribunale di Roma.

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