Burocrazia
Domande in forte aumento. La gran parte arriva da Argentina e Brasile
La forte crescita delle richieste di riconoscimento della cittadinanza per ius sanguinis sta mettendo in difficoltà uffici comunali, consolati e tribunali, cioè i soggetti cui il cittadino straniero può rivolgersi per ottenere il passaporto italiano.
Infatti il riconoscimento della cittadinanza (un diritto stabilito fin dal 1865 per garantire ai figli degli emigrati di mantenere il legame con l’Italia) si può far valere per via amministrativa con una richiesta al Comune in cui l’avo italiano risiedeva se anche il richiedente risiede nello stesso Comune o, se risiede all’estero (ed è la grande maggioranza dei casi), rivolgendosi all’ufficio consolare territorialmente competente.
Se i tempi di attesa del canale amministrativo sono molto lunghi ci si può rivolgere al tribunale. La via giudiziale è poi l’unica percorribile se l’antenata era una donna poiché prima del 1948 la trasmissione del diritto era solo per via paterna.
All’estero consolati e ambasciate sono sotto stress, soprattutto in Brasile e in Argentina, con liste d’attesa molto lunghe: in alcune sedi si parla di oltre dieci anni per avere un appuntamento. Secondo l’indagine Anusca-Istat, nel 2023, il 68,5% dei nuovi passaporti italiani è stato attribuito a cittadini brasiliani e il 19,9% a cittadini argentini.
«È un’ondata collegata alla discendenza degli emigrati tra il 1876 e il 1925 – spiega Giancarlo Gualtieri, responsabile Istat dell’area Presenza straniera e integrazione dei cittadini con background migratorio –. Nelle Americhe furono quasi nove milioni, di cui 3,5 in Brasile e Argentina, Paesi in cui le crisi economiche e politiche stanno spingendo le persone a recuperare il passaporto italiano poiché apre le porte dell’Unione europea e permette un accesso più facile anche negli Stati Uniti. In futuro i flussi potrebbero mantenersi consistenti».
Visto l’affanno di consolati e ambasciate, molti residenti all’estero presentano la domanda in tribunale: fino a giugno 2022 l’unico foro competente era quello di Roma; la riforma della giustizia ha poi deciso di decentrare queste controversie sul territorio, affidandole alle sezioni immigrazioni dei tribunali in base al comune di nascita del genitore o dell’avo.
Una novità che ha mandato in tilt gli uffici in tutte le aree più toccate dall’emigrazione, con effetti che rischiano di pesare anche sugli obiettivi Pnrr di riduzione dei tempi della giustizia.
«Nel 2023 il 52% dei riconoscimenti per via giudiziale è stato deciso dal Tribunale di Venezia – dice Salvatore Laganà, presidente sia del Tribunale che della sezione immigrazione –. Abbiamo 1.500 nuove iscrizioni al mese, con in media dieci ricorrenti per fascicolo. Da giugno 2022 abbiamo deciso 5.800 fascicoli che equivalgono a circa 58mila nuovi cittadini. Abbiamo stilato accordi con le associazioni degli avvocati per semplificare alcune prassi, ma stiamo fissando le udienze al 2027».
Al Tribunale di Torino «avevamo ridotto i tempi delle cause, ma con le controversie per la cittadinanza iure sanguinis la situazione è di nuovo peggiorata: ora stiamo fissando le prime udienze per cittadinanza nel 2026 e per protezione internazionale nel 2027», spiega la presidente della sezione immigrazione, Roberta Dotta.
«I procedimenti per cittadinanza iure sanguinis sono gravosi perché spesso sono promossi da più ricorrenti e richiedono l’esame di documenti anche molto risalenti: a volte si fa riferimento ad ascendenti nati prima dell’Unità d’Italia».
Ora il disegno di legge di Bilancio propone di rendere più oneroso per i richiedenti il riconoscimento per via giudiziaria. Infatti, se oggi si paga un solo contributo unificato per fascicolo, anche se i richiedenti sono più di uno, il testo propone di stabilire un contributo unificato di 600 euro a carico di ciascun richiedente.