di Davide Varì
Tutti i giornali amici erano pronti a rilanciare gli scoop e noi tutti, ansiosi e con un filo di malcelata preoccupazione, eravamo convinti che il Palazzo sarebbe venuto giù come un castello di carta.
E invece…
Avevano promesso rivelazioni scottanti, addirittura sconvolgenti. Tutti i giornali amici erano pronti a rilanciare gli scoop e noi tutti, ansiosi e con un filo di malcelata preoccupazione, eravamo convinti che il Palazzo sarebbe venuto giù come un castello di carta. E invece… E invece nulla, una “fetecchia”, avrebbe detto Totò.
Insomma, dall’annunciatissima puntata di Report ci aspettavamo un nuovo scandalo Watergate e invece ci hanno propinato una minestrina tiepida e insipida. A cominciare dai 700 mila euro stanziati per la mostra del Futurismo che – attenzione, attenzione – sono cresciuti fino a 1 milione. Che poi, a conti fatti, era questo lo scandalo? Un ritocco economico e un progetto di restyling culturale, su cui si può certamente discutere ma non di certo gridare al complotto.
Ma il piatto forte della serata, ci hanno detto, doveva essere il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, che sembrava destinato a seguire le orme si Sangiuliano. Invece, il ministro ne è uscito indenne: il massimo che si è visto è stata qualche scaramuccia sul suo contributo alla stesura del programma della Lega nel 2018. E questo dovrebbe far tremare i palazzi della politica?
E poi, il Maxxi, ovviamente. Sì, perché era qui che il nodo doveva venire al pettine. Le inefficienze nella gestione del museo, il super contributo ministeriale rifiutato dall’allora direttore, la questione delle consulenze al compagno del capo di gabinetto, Francesco Spano…
Storie trite e ritrite, già lette, già digerite. E quelle chat di Fratelli d’Italia, in cui si sarebbero scambiati epiteti e commenti coloriti su Spano? Una commedia degli equivoci che ha portato alle sue dimissioni, ma che non ha certo cambiato il corso della storia. Eppure, c’era ancora spazio per un po’ di pathos noir.
Un servizio ha tirato fuori la vicenda di “La cattura di San Pietro”, il quadro di Rutilio Manetti rubato e, secondo il restauratore Lino Frongia, modificato con l’aggiunta di una candela per coprire il furto. Il quadro è poi riapparso in una mostra curata da Vittorio Sgarbi. Un colpo di scena che ha il sapore delle storie di provincia, più che delle grandi inchieste d’inizio stagione.
Il gran finale? Una retrospettiva sulla corruzione in Liguria, con Giovanni Toti, che si dimette per un’inchiesta che lo collega alla mafia siciliana, e il sindaco Marco Bucci, non indagato ma con una scia di sospetti che aleggiano su di lui e su certi interessi del PD locale. Un mix di tutto un po’, che sembrava dover riservare chissà quali sorprese, ma che ha lasciato il nulla in bocca. Ma è davvero questo il giornalismo d’inchiesta? “Arideteci Michele Santoro!”.