Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Pd, è tra i non molti politici italiani che quando sente parlare di cultura non si irrita, ma che fa della conoscenza un supporto fondamentale dell’agire politico.
Va al cuore dei problemi, senza girarci intorno. Altra dote rara di questi tempi. E l’intervista concessa a Il Riformista ne è una riprova.
A settembre si torna a votare: in 6 Regioni e per il referendum sul taglio del numero dei parlamentari. Eppure il dibattito politico stenta a decollare, e, per ciò che concerne l’appuntamento referendario, il tema sembra attirare solo l’attenzione degli addetti ai lavori. È una discesa inarrestabile?
Voglio sperare non sia così, ma l’allarme c’è ed è suonato da tempo. Si potrebbe dire che raccogliamo quanto seminato nel corso di un paio di decenni a partire dalla denigrazione dei partiti, campagna condotta con una perseveranza ossessiva senza rendersi conto che in quella frenesia si annidavano guasti drammatici, il contrarsi della partecipazione e una selezione della classe politica disancorata da criteri di merito, competenza, moralità.
C’è una statistica che aiuta a capire la deriva. Abbiamo impiegato trentadue anni, dalle elezioni del ’48 alle regionali del 1980, per scendere sotto la soglia del 90 per cento di votanti. Poi, dopo altri trentadue anni, alle regionali siciliane del 2012 abbiamo visto quella percentuale scendere sotto la metà ed è accaduto in una tornata dove il movimento grillino aggrediva i partiti battezzandoli il “cancro della democrazia”.
Avere rimosso il legame tra il consenso agli istituti della partecipazione, il voto in primis, e la liquefazione delle culture politiche ci ha spinti dove siamo. Questo non vuol dire che non si dovessero colpire duramente comportamenti osceni, forme di corruzione, costi esorbitanti, invocando una vera rifondazione delle forze politiche e delle istituzioni, ma era cosa diversa dall’invocare la cancellazione dei partiti, di ogni regola sulla loro trasparenza, di qualunque forma di finanziamento pubblico … leggi tutto