Report tuona ma non piove. Il maltempo però prosegue... Il corsivo di Battista Falconi
Dopo tanto tuonare, Report è andata in onda ieri sera con precipitazioni scarse: i servizi sul ministro Alessandro Giuli, in particolare, non hanno che rimesso assieme notizie già circolate, tra l’altro proprio per bocca di Sigfrido Ranucci che aveva promosso la puntata di ieri sera come una Madonna pellegrina.
Il parziale flop, però, non deve e non può tranquillizzare più di tanto il governo né, più ampiamente, coloro che assistono con perplessità alla deriva assunta da una certa informazione in Italia.
Cominciamo col dire che, su Alessandro Giuli e sulla maggioranza in generale, l’insistenza non terminerà certo qui. Report non si fermerà né si accontenterà e, nell’esercizio della propria libertà, tornerà ad additare pecche presunte o reali, di diversa gravità, commesse da esponenti del centrodestra.
Non solo, per carità: il successore di Milena Gabanelli non è affatto stupido e, in una linea editoriale di evidente faziosità, assesta con abilità e furbizia sporadici buffetti ad altri obiettivi, così da vantare un’imparzialità di facciata.
Qui sta il primo vulnus. Ci troviamo in una situazione analoga a quella della magistratura, accusata dal centrodestra di costituire nella sua indipendenza un corpo dello Stato “avversario” dell’esecutivo: è vero, no, più o meno?
Il problema non è questo, irrisolvibile poiché soggettivo, ma l’insindacabilità dell’attività del magistrato, così come di quella del giornalista (i media costituiscono di fatto un altro potere dello Stato, ancorché non statuito da Montesquieu). Vedi il caso di Paolo Corsini, accusato di aver dato dell’“infame” a Corrado Formigli, con il quale ha chiarito di non essere disposto a scusarsi preferendo, se costretto, lasciare il proprio posto di direttore degli approfondimenti Rai.
Corsini si considera perseguitato da Piazza pulita. A torto o a ragione, non sappiamo dire. Ma non possiamo disconoscere che le modalità aggressive di certi programmi, testate e cronisti travalicano il ruolo di “cani da guardia della democrazia”, per usare una tronfia espressione cara ad alcuni organismi di categoria, rischiando di sconfinare in quelli di rabbiosi pit bull da combattimento.
Una volta che ci si trova un microfono sotto il naso con una petulante richiesta di risposta è obiettivamente difficile mantenere la calma e qualunque reazione immortalata dalla telecamera, anche quando non scomposta e inopportuna come pare quella di Corsini, l’immagine che emergerà è tendenzialmente quella del reo inconfesso. Ma è davvero questo che ci attendiamo dal giornalismo come contributo alla crescita della democrazia, alla ricerca della verità, alla completezza dell’informazione?
In particolare, il dubbio si pone quando il giornalista lavora alle dipendenze di un editore pubblico. Le “linee” che portano in taluni casi a esercitare una parzialità insindacabile sono concordate tra direttore responsabile ed editore: se quest’ultimo deve dare conto ai cittadini nella loro generalità, come accade per la Rai, ci si attenderebbe un maggiore controllo.
Che evitasse, per esempio, di trasmettere un servizio sulla Liguria nel momento in cui la Regione è al voto, ancorché la palese inopportunità non sconfini nell’infrazione alle norme sul silenzio elettorale, come Ranucci ha ripetuto in questi giorni, nei quali ha provocatoriamente anticipato i servizi di ieri, nell’intento presumibile di farsi “cacciare” o “censurare” e partecipare alle Olimpiadi del martirio che tanto appassionano i conduttori televisivi.