Abbiamo usato i fatti di Amsterdam solo per confermare le nostre opinioni (rivistastudio.com)

di Bruno Montesano

Troppo impegnati a decidere se si è trattato di 
semplici risse o di nuovo pogrom, ci siamo persi 
la verità: da un anno è in atto una sorta di 
"scontro di civiltà", 

una guerra dalla quale usciremo tutti sconfitti.

Ad Amsterdam dei tifosi ebrei israeliani del Tel Aviv Maccabi hanno cantato cori a favore del genocidio del popolo palestinese (“olé, olé, facciamo vincere l’Idf, fotteremo gli arabi”, “non ci sono più ospedali perché non ci sono più bambini a Gaza”).

Questi hooligan – che avevano già pestato alcuni mesi fa una persona che portava la bandiera palestinese ad Atene – hanno anche attaccato un tassista. E non hanno rispettato il minuto di silenzio per le vittime dell’alluvione di Valencia in “protesta” per la posizione del governo spagnolo a favore di uno Stato palestinese.

La risposta di alcuni tassisti olandesi solidali con il collega e altri abitanti – e non degli ultras dell’Ajax, come inizialmente si diceva – è stata quella di attaccare tutti i tifosi ebrei israeliani in città, spesso con insulti antisemiti, in quella che alcuni hanno chiamato “caccia all’ebreo” (Jodenjacht). Cinque tifosi sono finiti in ospedale e tra le venti e le trenta persone hanno riportato ferite lievi.

Sembrerebbe che, da un lato, alcuni cittadini olandesi stessero preparando una protesta contro il massacro israeliano nella Striscia di Gaza e, dall’altro, che questa, dopo le violenze dei tifosi del Maccabi, sia sfociata in forme di razzismo antiebraico-israeliano. Un conto infatti sarebbe stato rispondere, anche con la violenza, ai tifosi razzisti israeliani.

Ma quello che è successo è stato diverso: gli assalitori hanno fermato persone per strada, chiedendo loro il passaporto, per poi aggredire il malcapitato se risultava israeliano qualificandolo come “cancro ebreo” (kanker joden). Inoltre, il 12 novembre, in una città in stato di emergenza e con i tifosi del Maccabi già tornati a casa, ci sono stati scontri con la polizia al grido di “ebrei di merda”.

I media italiani – e l’estrema destra internazionale, da Geert Wilders a Giorgia Meloni passando per Benjamin Netanyahu – hanno colto la palla al balzo e si sono messi a parlare di pogrom e di “Notte dei cristalli 2.0”: i fatti di Amsterdam si sono verificati, infatti, il giorno prima della giornata in ricordo della Notte dei cristalli del ’38.

Come al solito, alcuni ambienti della sinistra, invece di denunciare la strumentalizzazione islamofoba dell’accaduto e fare i dovuti distinguo, si sono messi a parlare sui social network di resistenza antifascista contro i nazisionisti.

Ci sono andati di mezzo altri civili israeliani innocenti, compresi dei minori? Sono marginali vittime collaterali, si risponde. À la guerre comme à la guerre, e poi “israeliani innocenti” è un ossimoro: sono tutti coloni, dagli zero ai novant’anni (come mostra il 7 ottobre).

Speculare – e certo più potente e diffusa – è stata la facilità con cui i media italiani hanno scritto che sono stati dei musulmani ad attaccare degli ebrei. Così come il riflesso pavloviano di riportare tutto al nazifascismo, come fatto, ad esempio e ovviamente, dal Foglio o come scritto da Ernesto Galli della Loggia, che non aspettava altro che avere un nuovo evento per chiedersi se “possiamo essere islamofobi davanti a questi eventi?” e rispondersi con un soddisfatto sì.

Ma il frame dello scontro di civiltà vale anche al contrario: all’islamofobia della destra si risponde troppo spesso con una minimizzazione sistematica dell’antisemitismo. La punizione collettiva degli ebrei israeliani ad Amsterdam (e non dei razzisti ebrei antipalestinesi) infatti rimanda a una logica di blocchi.

È il noi contro loro. L’estrema destra non aspetta altro, e infatti cavalca questa storia. Chi dice che ad Amsterdam sia andata in scena la resistenza partecipa allo stesso modo alla partita: è dell’altra squadra, ma partecipa. È un anno che assistiamo a questo gioco ed è evidente che non fa avanzare nessuno.

Anche la posizione degli ebrei è scivolosa, presi come sono tra due fuochi. Alcune rappresentanze delle comunità ebraiche parlano dell’insicurezza di vivere in Europa. Netanyahu e altri governi di destra gridano al pogrom mentre continuano a discriminare musulmani e migranti. I postfascisti si atteggiano ad amici degli ebrei per rilegittimarsi.

Al contempo, la questione dell’antisemitismo, a sinistra, è costantemente rimandata, venendo considerata sempre e solo come un problema di strumentalizzazione e mai come un fenomeno reale e in crescita. Questa logica bellica, di scontro frontale, è comune a molte discussioni.

La destra o il mainstream accusano di qualcosa qualcuno (la sinistra o i soggetti da questa difesi) e parte della sinistra risponde, in modo automatico, difendendo la propria parte senza alcun cedimento e ribaltando simmetricamente il punto di vista dell’avversario. Non c’è terreno possibile di dialogo, tutto – sia i fatti che le interpretazioni – diventa un’arma nello scontro.

Un esempio possibile, tra i tanti, che dimostra il funzionamento di questo meccanismo è un episodio avvenuto a Parigi nel 2018. In quell’occasione alcuni gilet jaunes hanno attaccato il filosofo neoconservatore Alain Finkielkraut al grido di “sporco sionista torna a Tel Aviv”.

Ma Finkielkraut, anche qualora accettassimo questa logica, non dovrebbe “tornare” in alcun Paese essendo un ebreo francese, non israeliano. Andrebbe attaccato per le sue idee ripugnanti e islamofobe, e non come uno “straniero” nella nazione di cui ha la cittadinanza. Non si attacca la persona giusta con i metodi sbagliati.

Intimare ad un cittadino di una minoranza di andare nel “proprio” Paese è un’azione razzista. “Torna in Israele, noi siamo il popolo” vuol dire infatti che il cittadino francese Finkielkraut non è considerato un vero cittadino e che il suo diritto alla residenza dipende da come la pensa e da cosa fa. Ma se si fosse trattato di un estremista di destra francese, non appartenente a una minoranza, non gli si sarebbe potuta dire la stessa cosa.

È tempo che quel che resta della sinistra affini le sue analisi su antisemitismo e antisionismo – ma il catalogo sarebbe lungo – così da accettare la propria mancanza di purezza. Antisemitismo e antisionismo non coincidono affatto, ma il secondo non esclude il primo. Per questo la Jerusalem Declaration sull’antisemitismo è meglio della IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) adottata da diversi governi europei, tra cui il nostro.

E se degli ebrei negano che l’antisemitismo a sinistra esista non vuol dire che ciò sia vero. Per ragioni strategiche alcune parti della sinistra decidono di sorvolare sulle proprie contraddizioni, come l’antisemitismo, ma così facendo, oltre a viziare la bontà dei loro fini con mezzi sbagliati, non riusciranno neanche a raggiungere l’esito atteso.

Non riconoscendo il nucleo di verità nelle ragioni dell’altro, solo lo scontro potrà risolvere la contesa. Ma in uno scontro di civiltà così pervertito e ribaltato vince comunque chi ha più forza.

E, di solito, purtroppo non è la sinistra.

 (Foto di Jeroen Jumlet/Anp/Afp via Getty Images)

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