L'ennesima strage in mare
I sopravvissuti divisi in due gruppi: le donne abbandonate nel deserto, gli uomini venduti a miliziani della prigione di Al-Assah. Approvato alla Camera emendamento di FdI per secretare appalti di forniture a navi cedute a Paesi terzi. Servirà mica a dotare le motovedette di armi?
(Karolina Sobel/Sea-Watch Via AP)
Cinquantadue morti e ventisette persone deportate. La barca su cui tentavano di raggiungere Lampedusa è stata speronata, fino a farla ribaltare in acqua, dalla Guardia tunisina.
Che poi è restata ferma a guardare i naufraghi affogare. La Guardia tunisina è quella a cui l’Italia, ufficialmente allo scopo di “rafforzare le attività di salvataggio in mare e le azioni di contrasto ai trafficanti di esseri umani”, dà motovedette. Le ultime tre nell’agosto scorso, nonostante il parere contrario del Consiglio di Stato che a giugno aveva accolto, beatamente ignorato, una istanza di varie associazioni ed ong. Secondo il memorandum Italia-Tunisia ne daremo presto altre tre. Oltre a 4,8 milioni di euro.
Lo speronamento con naufragio, l’ennesimo, è avvenuto nella notte tra il 7 e l’8 novembre. La barca era partita che era già buio dalla costa di Sfax. I pochi dettagli di quanto accaduto li ha raccontati un uomo sudanese che ha un cugino sedicenne, Musa, tra gli affogati. Lui, nascosto a terra nella costa tunisina, ha i numeri di telefono di chi s’era imbarcato con il ragazzo e, avendone perse le tracce, ha chiamato quei cellulari finché è riuscito a parlare con alcuni dei sopravvissuti.
“La barca aveva a bordo un’ottantina di persone – racconta Andrea Costa, presidente di Baobab experience che è in contatto con il sudanese e ha raccolto la sua denuncia – non sappiamo il numero esatto ma sappiamo che tra le donne, che dovevano essere una ventina, ce ne erano 13 incinte. C’erano anche bambini e ragazzi. I sopravvissuti hanno raccontato che non erano molto lontani dalla costa quando è arrivato un mezzo della Guardia tunisina e li ha speronati, la barca s’è capovolta. Sono rimasti lì e li hanno guardati affogare”. Tra gli scomparsi in acqua c’è una donna con il figlio di tre anni.
“I ventisette sopravvissuti sono stati ripescati dalla barca di un pescatore che è rimasto con loro a bordo senza tornare a riva. Dopo un giorno e mezzo è arrivata una motovedetta della Guardia tunisina che li ha costretti a fare il trasbordo e li ha riportati a terra dove erano già pronti due autobus. Una volta tornati a Sfax sono stati consegnati alla polizia che li ha divisi in due gruppi: un gruppo tra cui stanno le donne incinte è stato abbandonato nel deserto tra Libia e Tunisia e un altro gruppo venduto ai miliziani libici della prigione di Al-Assah. Questo quanto raccontato al cugino di Musa da due dei sopravvissuti che viaggiavano con il ragazzo”. “Tornare verso i centri abitati vorrebbe dire consegnarsi alla polizia tunisina e essere imprigionati o deportati in zone ancora più distanti del deserto. Ma noi che con i migranti che arrivano in Italia ci parliamo – dice Costa – sentiamo quotidianamente storie di barchini partiti e mai arrivati e di barche speronate dalla guardia tunisina. Il giorno prima di questo naufragio, di cui siamo in grado di fornire dettagli soltanto perché il cugino di uno degli affogati è riuscito a parlare con alcuni sopravvissuti, c’è stato un altro naufragio, la barca era stata affondata dalla guardia tunisina. Lo ha raccontato un sopravvissuto gambiano a dei sudanesi che sono ancora nascosti a Sfax”.
Il cugino di Musa racconta: “Lui era scappato come me dalla guerra in Sudan, io sapevo che era salito su quella barca e aspettavo una sua telefonata dopo l’arrivo per avere la notizia che era vivo. Non è arrivata. Io ora resto qui in Tunisia. Ma la nostra vita qui è continuamente in pericolo, non sappiamo se e per quanto sopravviveremo. Chi non è mentalmente forte in Tunisia rischia il suicidio. Vi chiedo di condividere un’ultima preghiera per Musa: i morti non sentono, ma se voi potete sentirmi, volevo dirvi che siamo molto dispiaciuti per la vostra perdita. Avete tentato con tutte le vostre forze di raggiungere terre sicure Ma forse ora siete in un posto migliore, Eravate brave persone, e le brave persone non vivono a lungo in questo mondo. Che le vostre anime riposino in pace”.
Testimonianze di barche speronate dalla Guardia tunisina fino a farle affondare arrivano spesso da chi lavora in sostegno ai migranti in Tunisia e da chi riesce a sopravvivere alla traversata.L’Unità il 28 marzo scorso ha raccolto la denuncia di un ragazzo camerunense che ha visto affondare la barca in cui viaggiava insieme a sua moglie e a suo figlio.
Le foto che pubblichiamo qui sopra sono le sue, fatte mentre la barca colava a picco. Oltre ai milioni di soldi pubblici in arrivo dal governo Meloni il presidente tunisino Saied, che incarcera oppositori, avvocati e attivisti per i diritti umani, è in attesa dei 105 milioni promessi dalla presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen per frenare le partenze dei migranti.
E’ di ieri la notizia che la commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati ha approvato un emendamento al decreto Flussi presentato dalla deputata di Fratelli d’Italia Sara Kelany. Il contenuto dell’emendamento è molto interessante.
In considerazione delle “speciali misure di sicurezza necessarie nell’esecuzione dei relativi contratti, l’affidamento degli appalti pubblici di forniture e servizi relativi a mezzi e materiali ceduti, destinati alla cessione o in uso a Paesi terzi, per il rafforzamento delle capacità di gestione e controllo delle frontiere e dei flussi migratori sul territorio nazionale e per le attività di ricerca e soccorso in mare”, è effettuato secondo quanto prevede l’articolo 139 del Codice dei contratti pubblici. Che contiene alcune deroghe per i “contratti secretati”.
Per i “contratti al cui oggetto, atti o modalità di esecuzione è attribuita una classifica di segretezza”. “Nell’ambito delle iniziative volte al rafforzamento delle capacità di gestione e controllo delle frontiere e dei flussi migratori e per le attività di ricerca e soccorso in mare, lo Stato italiano provvede a cedere a Paesi esteri mezzi e materiali da destinare alle predette finalità. Le forniture dei citati beni e servizi afferisce ad attività di refitting di mezzi, principalmente unità navali già utilizzate da amministrazioni militari e di polizia italiane ovvero in uso a Paesi esteri, e materiali, quali le dotazioni installate a bordo delle predette imbarcazioni suscettibili di riparazione, che impongono la necessità di adottare speciali misure di sicurezza nell’esecuzione dei relativi contratti”, sta scritto nella relazione illustrativa dell’emendamento. Perché mai, vorremmo sapere dal governo, è necessario coprire da clausole di sicurezza queste forniture? Servirà mica, tra l’altro, a dotarle segretamente di armi?