C’è Anna che non può più abbracciare suo marito Rino, c’è Antonio costretto a rivedere sua madre Eugenia solo dopo aver fatto il tampone. Le Rsa,
terrorizzate dalle morti degli anziani e dalle inchieste, hanno messo paletti rigidissimi: niente giardino, niente uscite (se non essenziali), niente contatto coi familiari e con gli altri ospiti delle strutture
Dopo aver contato migliaia di morti nelle residenze per anziani a causa del Coronavirus, dopo il caso Pio Albergo Trivulzio e dopo aver messo nero su bianco che i più vulnerabili sono gli anziani, le Rsa hanno attivato protocolli di sicurezza rigidissimi. Altro che visite ricominciate, altro che ritorno alla normalità. Gli ospiti delle Rsa non possono più andare nemmeno in giardino, non possono più uscire da soli dalle strutture (se autosufficienti), non possono più abbracciare i loro familiari.
Non possono nemmeno avvicinarsi ai figli. Tutto per il loro bene. Eppure queste restrizioni rischiano di trasformarsi in una prigione, in una gabbia che, se da un lato li protegge dal rischio di Covid, dall’altro li uccide psicologicamente. Con danni irreversibili.
«Situazione indecente, disumana e angosciante»
Anna, ad esempio, ha il marito, Rino, ospite all’istituto geriatrico Piero Redaelli a Vimodrone (Milano). Prima andava a trovarlo ogni giorno, adesso lo vede, a distanza, ogni tanto. «Il 6 luglio l’ho rivisto per 15 minuti con tanto di persona che ci guardava per controllare che rispettassimo il distanziamento sociale. Un modo indecente di vedersi dopo tempo.
Meglio non vederlo, è stato doloroso. Sono stata malissimo, non gli posso nemmeno stringere la mano. Una situazione disumana, angosciante, orribile. Altro che hanno riaperto, se va bene li intravediamo da lontano ogni 20 giorni» … leggi tutto