Morto il «boia per caso» che spinse il pulsante per impiccare Eichmann «Non volevo farlo» (corriere.it)

di Francesco Battistini

Nagar, 86 anni, fece da guardia all’architetto 
della Shoah

Gli chiedevano: come vi capivate? «Con le mani. Linguaggio del corpo. Io non sapevo il tedesco. Allora facevamo così…». Gesticolava nell’aria: «Non avevamo altro modo. Alla fine, lui capiva me e io capivo lui». E come mai toccò proprio a te? «Perché non avevo sete di vendetta. Eichmann, io non sapevo nemmeno chi fosse…».

Shalom Nagar, l’uomo che nel 1962 eseguì la condanna a morte di Adolf Eichmann, è morto in Israele all’età di 86 anni. Giovane guardia carceraria, Nagar ebbe la vita sconvolta quando fu estratto a sorte come boia e dovette premere il pulsante per impiccare l’ideatore della «soluzione finale» di milioni d’ebrei. Il criminale nazista era stato catturato dal Mossad in Argentina, dove viveva sotto falso nome. A

l termine del processo di Gerusalemme, raccontato da Hannah Arendt ne La banalità del male, il procuratore generale Gideon Hausner aveva chiesto ai giudici il massimo della pena: «Quando mi trovo davanti a voi, non sono solo: con me ci sono sei milioni di accusatori».

La condanna a morte di Eichmann fu eseguita nel carcere di Ramla e le sue ceneri furono disperse in mare. Fu l’unica volta in cui una corte israeliana inflisse la pena capitale. Per mezzo secolo, Nagar fu obbligato al silenzio, «non l’ho mai rivelato nemmeno a mia moglie».

Finché il governo israeliano non tolse il segreto, e lui finalmente poté raccontare: «Un giorno il comandante venne da me e mi chiese: “Shalom, ti va di schiacciare il bottone?”. Credeva di farmi un grande onore. In fondo, nelle Scritture è questo il più grande dei comandamenti: “Cancella la memoria di Amalek”, di chi vuole sterminare gli ebrei… Però io dissi che non volevo. C’era qualcuno che se la sentiva. Io invece ero l’unico secondino che diceva di non volerlo schiacciare, quel bottone. Tirarono a sorte. E il comandante mi disse: “È un ordine. La sorte ha detto che tocca a te. Lo farai tu”…».

Prima dell’esecuzione, per sei mesi, Shalom aveva fatto la guardia al general manager dei lager nazisti. «A sorvegliarlo eravamo in ventidue — spiegava —. Io stavo nella sua cella, assaggiavo i cibi. La paura era che l’avvelenassero. Lui era il male, ma si sa com’erano quei tedeschi: si mostravano così puri, nelle loro azioni quotidiane… Eichmann leggeva tanto, mi diceva sempre gracias in spagnolo. Una volta gli capitò fra le mani Lolita di Nabokov, lo trovò disgustoso e me lo restituì scandalizzato. L’accompagnavo al bagno e lui stava attento a non farmi sentire la puzza, a lavarsi le mani. Gentilissimo. Non avessi saputo, l’avrei preso per un santo!».

Il giorno dell’esecuzione, Shalom lo rivisse tutta la vita: «Non avevo mai visto un uomo impiccato. Avevo 26 anni, che ne sapevo? Ero davanti a lui. Vidi la sua faccia bianca, gli occhi fuori. Grandi, fissi. Come se mi guardasse. Chiesi d’allontanarmi, ma il comandante mi disse di no: “Non è un gioco, tiralo su e levagli il cappio!”. Io tremavo. Quando lo portammo alla fornace che sta verso Tel Aviv, per bruciarlo e spargere le ceneri in mare, mi sentivo male. Mi fecero accompagnare a casa. Mia moglie mi vide, ero tutto sporco di sangue. “Ma dove sei stato?”, mi chiese. Le risposi: “Lo sentirai fra qualche ora al notiziario…”. E lei forse capì qualcosa».

Il boia del Boia, come lo chiamavano, ne uscì sconvolto.

«Ebbi un anno d’incubi. È da quel momento che sono diventato religioso. Prego, digiuno, studio. E ho cominciato a sentirmi un po’ meglio». In testa la kippah, i cernecchi sulle orecchie, Shalom era diventato macellaio kosher.

Quando andava in sinagoga, gli piaceva la storia biblica di Mordechai, il carnefice che alla fine diventa vittima: «Se un giorno m’avessero chiamato per uccidere un altro nazista, avrei risposto che ne avevo avuto abbastanza, grazie. Scordatevi di me. Questa cosa, io non la faccio più».

(The 1962 file photo shows Adolf Eichmann standing in his glass cage, flanked by guards, in the Jerusalem courtroom where he was tried in 1962 for war crimes committed during World War II. The basics of Adolf Eichmann’s story are well documented: Commonly known as the “architect of the Holocaust” for his role in coordinating the Nazis’ policy of genocide, he fled Germany only to be captured in Argentina by the Mossad, taken to Israel for trial, and hanged. AP Photo)

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