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La mostra
Fino al 25 gennaio a Venezia, città natale dello psichiatra, l’omaggio di Emergency al medico che ha rivoluzionato l’approccio alla malattia mentale superando la segregazione nei manicomi
(Franco Basaglia – Archivio Gian Butturini)
Ha lottato contro le condizioni disumane a cui erano costrette le persone segregate negli ospedali psichiatrici, dando vita a un processo di liberazione che portò alla riconfigurazione del concetto di salute e malattia nel nostro paese. Franco Basaglia è stato uno scienziato, un filosofo, un politico, un uomo delle istituzioni, un grande comunicatore e un testimone vivo del suo tempo.
(Archivio Gian Butturini)
Nato a Venezia l’11 marzo 1924 (dove è morto il 29 agosto 1980) è stato probabilmente lo psichiatra italiano più autorevole del XX secolo e, a cento anni dalla sua nascita, continua ad essere uno straordinario esempio di influenza culturale italiana nel mondo.
Il suo pensiero e la sua opera pratica hanno avuto e continuano ad avere un impatto in culture e società diverse, in particolare per la concretezza e l’universalità della sua proposta etica, politica, culturale e scientifica: una sfida alle istituzioni della psichiatria. Non astratta o ideologica, ma concreta e ideale.
(Franco Basaglia – Archivio Gian Butturini)
La Mostra è ospitata nella sua città Natale, nella sede veneziana di Emergency, che definisce l’opera di Basaglia «in linea di continuità con l’eredità politica e culturale del suo fondatore Gino Strada». Tra i due medici infatti «esistono forti assonanze sull’idea di cura, nell’attenzione alla persona, ai suoi diritti, alla sua dignità, al suo benessere».
(particolare – Archivio Gian Butturini)
L’esposizione è il racconto per immagini che il fotografo Gian Butturini fece delle nuove pratiche basagliane che stavano cambiando l’ospedale psichiatrico triestino. Uno ad uno i reparti venivano aperti, rovesciando le logiche della segregazione e della negazione dei diritti.
(Archivio Gian Butturini)
Basaglia colse l’occasione per coinvolgere il fotografo bresciano in un modo nuovo: «Nei manicomi sono sempre finiti gli scarti della società, uomini usati e buttati come scorze di banana. Perché non vieni a Trieste? – diceva Basaglia a Butturini – Potresti fare un buon lavoro. Tutto il Paese deve sapere cosa sta succedendo a Trieste… ti ciapi la macchina fotografica, le cineprese e ti vivi co noialtri».
Basaglia chiese dunque a Butturini di documentare, non come già altri fotografi la non-vita degli internati, bensì le tracce del processo di liberazione in atto. Un compito non facile, di cui è consapevole anche il grande psichiatra, che gli dice: «Fotografare per denunciare è più facile che documentare la proposta. I segni della violenza sono più evidenti di una pratica di liberazione».
(Archivio Gian Butturini)
Rompere, e Franco Basaglia lo sa bene, è più facile che costruire alternative e attorno ad esse un consenso sociale. Lo psichiatra e l’equipe che lo sostiene non sono degli ingenui: sanno che la deistituzionalizzazione dei manicomi e la de-marginalizzazione di coloro che soffrono di malattie mentali richiede un lavoro profondo nel quotidiano, tra la gente, nell’ambiente familiare e sociale in cui vivono.
Franco Rotelli (uno dei principali collaboratori di Basaglia) e gli altri operatori di Trieste, vedono chiaramente che la loro impresa si muove in un territorio nuovo e tutto da verificare. Parlano di una «istituzione inventata», di una «impresa sociale» all’interno di una «città che cura», di una «gestione sociale della follia».
(Particolare – Archivio Gian Butturini)
Ed è proprio questa nuova realtà così complessa e di grande importanza per il futuro, quella che Gian Butturini si assume il compito di raccontare. E lo farà con lo slancio umano e professionale che sempre ha guidato i suoi lavori protesi a relazionarsi in modo profondo con l’umanità.
(Venezia, Giudecca 212, ingresso libero dal giovedì al sabato, dalle 12.00 alle 18.00, chiusura dal 23 dicembre 2024 all’8 gennaio 2025)