di Guia Soncini
L’avvelenata
Sulla cialtroneria
Un varietà che meriterebbe i balletti, dove nessuno conosce il significato di “off the record”, in Italia viene scambiato per giornalismo di qualità. Invece dovrebbe essere considerato alla stregua delle didascalie date dagli utenti alle foto di Notre-Dame che circolano sui social
In un’intervista di trentadue anni fa, Susan Sontag diceva che le pareva impensabile ordinare la libreria con criteri alfabetici: «Non posso mettere Platone vicino a Thomas Pynchon». Ricordo d’aver pensato che era proprio americana: che cosa da ginnasiale, avere Platone sugli scaffali. Aveva ragione, avevo torto.
Ci ho ripensato decine di volte negli ultimi anni, anni che chiunque ha passato a chiedersi come facesse “Sulla fotografia” a essere ancora attuale, a non essere stato superato dall’evoluzione della fotografia nelle nostre vite, un libro di quarantasette anni fa. Come fanno le ombre nella caverna a essere ancora attuali?
Ci pensavo ieri, guardando le immagini di Notre-Dame commentate sui social col piglio dei clienti della pasticceria da gente che però era non cliente ma il povero col naso schiacciato sulle vetrine. Gente che s’illudeva di capire i sapori guardando dentro la pasticceria cui non poteva accedere, di capire i rapporti guardando le foto come in una serie di Cuarón, di capire il mondo vedendo come l’erede al trono d’Inghilterra salutava Trump, come la Meloni si metteva in posa con Brigitte Macron, come camminava Elon Musk.
Cosa ci dicono le ombre nella caverna dei rapporti di forza tra la Meloni e Mattarella, tutti e due lesti a disertare l’inutilissima e sempre più imburinita e pure oggetto di contestazioni prima della Scala, per andare a Parigi a farsi fotografare con quelli che contano davvero?
E chissà cosa ci dicono le ombre nella caverna se la caverna è una cattedrale restaurata coi soldi della multinazionale del lusso, e i commentatori lodano la sobrietà con cui il capo della multinazionale non pretende di sedere in prima fila, e io riesco solo a notare che Brigitte accogliendo chiunque tiene sempre ben in primo piano la sua borsetta Dior, come una influencer pagata un tot a inquadratura.
Il guaio di questo paese è che, mentre ti balocchi con l’idea di fare il tuo altissimo elzeviro sull’equivocabilità delle immagini, arriva “Report”, un programma che in un paese serio non potrebbe esistere, e che qui invece non solo esiste ma passa pure per giornalismo a schiena dritta, questa buffonata attendibile come un varietà cui però mancano i balletti (descrizione che ormai si attaglia praticamente a ogni programma televisivo italiano con pretese giornalistiche).
L’altra sera “Report” si dedica a un ex ministro (interesse pubblico: non pervenuto) e alla bionda che quest’estate ha avuto le attenzioni che voleva e anche, dal resto della tv cialtrona, l’investitura a salvatrice della patria o poco meno.
Le immagini in movimento, i video, le conversazioni, non sono mica più attendibili delle fotografie, nel raccontare l’interezza di una storia. La frase più famosa di Thelma Schoonmaker, montatrice di Martin Scorsese, è «i film di Martin non sono violenti finché non li monto io». Vale anche per le intercettazioni, per le telefonate registrate, per le interviste non concesse.
C’è un momento, nella parte di “Report” incredibilmente dedicata alla sangiulianeide, in cui appare l’avvocato di Sangiuliano. È un signore che secondo il sito del suo studio è iscritto all’Ordine degli avvocati da cinquantun anni, quindi qualcosina del mondo ha fatto in tempo a capirla.
Eppure pensa di poter concedere un’intervista a “Report” come avesse a che fare con dei gentiluomini, di avere a che fare con dei giornalisti (cioè gente che ha chiaro il concetto di “off the record”), di non mettere in conto che ci sarà un’altra telecamera, nascosta in qualche zainetto, pronta a riprenderlo quando dice quel che non ritiene possa andare in onda.
Abbiamo un problema col giornalismo, con questo mestiere slabbrato in cui chi va in guerra viene definito con la stessa parola usata per chi intervista gli attori? Forse sì, forse questi bucanieri che scambiano la maleducazione per schienadrittismo sono il problema, e un ulteriore problema è la nostra pigrizia nel non trovare nuovo lessico per definirli.
Oppure il problema è la smania delle vittime della cialtroneria televisiva, la smania di raccontarsi, di esserci, di dire la propria, senza mai capire con chi si ha a che fare e che a certuni non si risponde mai nulla che non sia «no comment». Oppure il problema siamo noialtri del pubblico, che abbiamo voglia solo di cose facili, uh, guarda, la conversazione arrubbata tra il ministro e la moglie, fammi un po’ sentire, come origliassimo nostra cognata.
Com’è possibile che la Rai mandi in onda una conversazione privata tra Sangiuliano e la moglie, che oltretutto tecnicamente sono due giornalisti Rai? Posso immaginare come la registrazione della conversazione sia arrivata al programma, ma non è illegale mandare in onda una conversazione che due persone hanno in casa loro se non autorizzati da una delle due?
Com’è possibile che un programma faccia una cosa del genere e, se qualcuno osa obiettare, si parli di censura e altre enormità? (Ho detto «un programma» e non «un programma pagato coi nostri soldi» perché ho ancora una ’nticchia di senso del ridicolo, ma è ovvio che sia un’aggravante: almeno il varietà coi balletti lo paga Piersilvio).
Le fotografie, diversamente dalle parole, non danno l’impressione d’essere interpretazioni della realtà, ma pezzi della realtà stessa, scriveva Sontag: figuriamoci le conversazioni rubate, figuriamoci l’inviato zelante che insegue Arianna Meloni su per le scale, figuriamoci la telecamera nascosta nello zaino che ci svela ciò che l’avvocato non voleva dire. Solo che no, solo che le immagini rubate da chi ci promette verità sono distorsioni quanto gli editoriali, perché tutto è distorsione: non è che serva aver visto “Empire” di Andy Warhol per sapere quant’è noiosa la verità senza montaggio.
Trentanove anni fa, Neil Postman ci avvisava che ci saremmo messi nei guai, a volere l’adrenalina e il divertimento dalla politica, costretta a trasformarsi in una forma d’intrattenimento.
Neanche lui poteva prevedere cosa ne sarebbe stato della tv italiana, dove l’informazione e la cialtronaggine sarebbero divenute due categorie indistinguibili, e noialtri assuefatti non solo avremmo guardato con interesse lo scandalismo ululante ma, diversamente da quel che accade in paesi in cui c’è la separazione delle carriere e i giornalisti fanno i giornalisti e i cialtroni fanno i cialtroni, a fine serata ci saremmo pure ritenuti informati, dopo esserci intrattenuti con spettacoli circensi di inseguimenti e telecamere nascoste e registrazioni arrubbate.
Ieri pomeriggio girava la foto di Elon Musk che si allontanava da Donald Trump, nella navata di Notre-Dame, per andarsi a sedere al suo posto che non era vicino a quello del prossimo presidente degli Usa. Le didascalie erano sempre battute sui migliori amici divisi in classe dalla maestra cattiva perché in banco insieme fan troppo casino.
Girava anche la foto di Jill Biden che guardava il Donald con sguardo adorante, con didascalie sul suo aver votato lui e non la Harris. Sono quella forma d’intrattenimento elementare che questo secolo ha chiamato “meme”.
Però, se chiamiamo giornalismo le registrazioni di conversazioni coniugali trafugate da “Report”, non capisco perché non possiamo definire allo stesso modo anche le didascalie spiritose degli sguardi di Jill.
Tanto, ormai.