di Carlo Canepa
Economia
I numeri danno torto alla presidente del Consiglio, anche se è vero che nei trent’anni precedenti alla pandemia il nostro Paese è stato quasi sempre in avanzo primario
Il 17 dicembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha replicato agli interventi di alcuni deputati alla Camera, dopo le sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo. Nella sua replica, Meloni ha risposto all’invito di Luigi Marattin (ex deputato di Italia Viva, oggi nel gruppo Misto), che ha chiesto alla presidente del Consiglio di seguire le politiche del presidente argentino Javier Milei, tagliando la spesa pubblica italiana.
La presidente del Consiglio ha replicato che «la ricetta di Milei» in Italia «è difficilmente applicabile», e a sostegno della sua tesi ha detto: «Come lei saprà, e questo davvero non è solo merito mio, è da un po’ di tempo che è così: l’Italia è una nazione che sta in avanzo primario, tolti gli interessi che paghiamo sul debito, già da tempo, per cui poi ci si deve dire anche dove si taglierebbe» la spesa pubblica.
Al di là di quello che si pensi sulle politiche economiche di Milei, non è vero che «da un po’ di tempo» l’Italia è in avanzo primario: negli ultimi quattro anni, condizionati dalla pandemia di COVID-19, è stato vero il contrario. Nei trent’anni precedenti, invece, è vero che l’Italia è stata quasi sempre in avanzo primario.
Di che cosa stiamo parlando
Ogni anno lo Stato italiano raccoglie entrate, principalmente attraverso le tasse, per coprire i costi dei servizi pubblici offerti ai cittadini, tra cui quelli relativi a sanità, istruzione, difesa e pensioni. Se lo Stato non riesce a incassare risorse sufficienti per svolgere le sue funzioni, contrae debiti sui mercati. In questo caso, la differenza annuale tra le entrate e le spese totali è negativa.
Quando ciò accade, si dice che lo Stato ha un indebitamento netto negativo.Ogni anno, poi, lo Stato italiano deve ripagare gli interessi sui debiti contratti negli anni precedenti. Se non ha risorse sufficienti per farlo, deve indebitarsi di nuovo. Ma se non ci fossero le spese sostenute per coprire i debiti degli anni precedenti, lo Stato potrebbe avere più entrate che spese: in questo caso si dice che lo Stato generaun avanzo primario.
Nell’Unione europea, la spesa dell’Italia in interessi sul debito è la più alta in rapporto al Prodotto interno lordo (PIL).Per avanzo primario si intende, appunto, una differenza positiva tra le entrate e le spese delle amministrazioni pubbliche, al netto della spesa per pagare gli interessi sui debiti contratti. In parole semplici, l’avanzo primario indica quanto risparmierebbe lo Stato ogni anno se non dovesse ripagare i debiti contratti in precedenza.
Ricapitolando: si ha un avanzo primario se, tolta la spesa per ripagare gli interessi sul debito, lo Stato incassa di più di quanto spende. In caso contrario, si ha un disavanzo primario. Per questo motivo c’entra la spesa pubblica: un governo di turno potrebbe ridurla con l’obiettivo di ridurre le uscite, e aumentare l’avanzo primario.In generale, l’avanzo primario è un indicatore utile perché fa capire se uno Stato sarà mai in grado di ripagare il proprio debito.
Infatti, spendere di meno di quanto si incassa comporta che, in prospettiva, il debito pubblico verrà ridotto. La velocità con cui il debito pubblico diminuirà dipende però dall’entità dell’avanzo primario e dall’ammontare del debito contratto: a parità di avanzo primario, maggiore è la spesa per interessi, maggiore è il tempo che lo Stato impiegherà a ripagare il suo debito e viceversa.
Che cosa dicono i numeri
Secondo i datidel Fondo monetario internazionale (FMI), tra il 2020 e il 2023 lo Stato italiano ha registrato ogni anno un disavanzo primario, che si è via via ridotto e che dovrebbe azzerarsi nel 2024. Nel 2020, anno in cui è iniziata la pandemia, la differenza tra entrate e uscite, al netto degli interessi sul debito, ha raggiunto un valore pari al 6,1 per cento del Prodotto interno lordo (PIL) italiano.
Secondo le stime contenute nel Documento programmatico di bilancio (DPB), approvato a ottobre dal governo Meloni, in realtà quest’anno i conti dovrebbero chiudersi con un leggero avanzo primario, pari allo 0,1 per cento del PIL. Questa percentuale aumenterà progressivamente nei prossimi anni, fino ad arrivare al 2,4 per cento nel 2029.
Dunque, considerando gli anni più recenti, la dichiarazione della presidente del Consiglio è scorretta. Sarebbe stata invece supportata dai numeri se avesse detto che in un periodo più ampio di tempo, ossia dal 1990 in poi, ogni anno l’Italia ha quasi sempre registrato un avanzo primario (conpercentuali tra le più alte al mondo), come mostra il grafico.
Fatta eccezione per la Danimarca, nel 2020 tutti i Paesi dell’Unione europea hanno registratoun disavanzo primario: l’inizio della pandemia di COVID-19 ha spinto i governi a stanziare enormi risorse pubbliche per far fronte alla crisi e sostenere l’economia. Nel 2021 in situazioni di avanzo primario si trovavano solo Danimarca e Lussemburgo, mentre nel 2022 si sono aggiunti anche Croazia, Cipro, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia.
Nel 2023 sette Paesi Ue su 27 hanno registrato un avanzo primario.Il Fondo monetario internazionale pubblicapoi anche un altro indicatore, chiamato “avanzo primario al netto del ciclo economico”. Questo indicatore viene calcolato sulla base di una serie di assunzioni ed è usato per correggere l’avanzo primario in base ad avvenimenti economici di natura ciclica come, per esempio, una recessione.
Anche in base a questo indicatore, tra il 2020 e il 2023 l’Italia ha registrato un avanzo primario negativo, al netto del ciclo economico, e il Fondo monetario internazionale prevede che lo stesso accadrà quest’anno, per poi tornare in positivo nel 2026.
(La Presse)