Migrazioni
«Quello che dovevo dire l’ho già detto», così Giuseppe Conte ha commentato l’assoluzione del suo ex ministro Salvini in relazione al sequestro di 147 persone sulla Open Arms nel dicembre 2019.
Conte si riferisce a delle dichiarazioni precedenti ma, dopo esser stato protagonista dell’oscena linea politica del governo gialloverde, ha deciso di accentuare la posizione xenofoba che già aveva.
Nel Conte I, i decreti sicurezza e la chiusura dei porti furono frutto di un’adesione più convinta che trasformista del M5S al punto di vista degli alleati leghisti. Così come bisogna ricordare che la riforma sociale più grande che il M5S possa intestarsi, il reddito di cittadinanza, perimetrasse i diritti sociali ai soli italiani. Servivano dieci anni di residenza, sanzionati dalla Corte di Giustizia Europea.
Anche recentemente, Conte ha contrapposto il taglio del reddito per gli italiani ai cinquanta euro giornalieri destinati ai richiedenti asilo. Così come ha criticato Meloni per l’inefficienza nel respingimento dei migranti.
In questa lettura Meloni non avrebbe davvero a cuore gli interessi degli italiani. L’Italia non può «accogliere tutti» i migranti, ha ribadito recentemente: il Pd deve rompere con la propria tradizione di «accoglienza indiscriminata» dei migranti.
Ma, al netto della mistificazione della linea del Pd, dove a lungo ha prevalso la linea di Minniti su quella di Schlein, le parole dell’ex presidente del Consiglio sono significative. Non perché segnino una discontinuità ma per la loro chiarezza.
La posizione sull’immigrazione – ovvero sui confini della comunità politica – del M5S è stata più o meno sempre la stessa, pur con qualche piccolo dissenso.
Il Movimento (ex) grillino ha sempre ritenuto lo ius soli una misura sbagliata – come mostrato, da ultimo, dall’astensione di Conte in merito al referendum sulla cittadinanza.
Secondo l’ex padre padrone Grillo, qualora il tema fosse stato nel programma del M5S, questo avrebbe preso «percentuali da prefisso telefonico». D’altronde, in origine, il Movimento, in Europa condivideva il gruppo parlamentare con l’estrema destra del brexiteer Nigel Farage.
Che sia Conte o sia Grillo a comandare, la posizione rimane la stessa: nella comunità nazionale, il popolo virtuoso condivide legami «caldi» derivanti dalla comunione di modi di vita, lingua e «tradizioni». Attraverso la loro difesa, si può così costruire una solidarietà da contrapporre alla disgregazione delle forze «fredde» del mercato e dei diritti umani difesi dalle corti – ancora più gelide quando la loro dimensione è deterritorializzata e sovranazionale.
In questo senso va interpretato l’invito alla convention del M5S a Sarah Wagenknecht.
I rapporti tra Conte e la nuova leader della «sinistra conservatrice» tedesca non sono improvvisati. Prima di aderire alla Sinistra europea, il M5S voleva costituire un gruppo europeo con lei e l’autoritario «progressista» ceco Robert Fico.
Quest’ultimi, così come l’ex insoumis Francois Ruffin in Francia, o in passato il Blue Labour in Inghilterra, occupano uno spazio politico simile: quello della rappresentanza dei lavoratori autoctoni «dimenticati», che vivono nelle zone rurali o nelle periferie metropolitane. In competizione con l’estrema destra, giocano sullo stesso terreno.
La sinistra «populista» critica infatti il mercato con valori conservatori e accentua il carattere nazionalista della protezione sociale. Gli strumenti per regolare il mercato e affrontare l’insicurezza sociale sono la sovranità nazionale e il nativismo più o meno temperato. Il che di solito si riduce a uno scimmiottamento della socialdemocrazia in un solo paese e alla limitazione della (poca) protezione ai soli membri della comunità nazionale.
Apparentemente attenti alla redistribuzione, questi movimenti si collocano a destra per quanto riguarda le questioni legate a «razza», sesso e genere. La cosidetta classe operaia bianca, secondo una versione razzializzata del conflitto sociale, è il soggetto che voglio rappresentare. Usando strumentalmente il tema della sicurezza, per loro occuparsi di temi sociali significa opporsi a stranieri e istituzioni sovranazionali.
Il successo di queste posizioni a sinistra ha a che fare con due questioni: un’erronea interpretazione del neoliberalismo come assenza di stato – e su questo Michel Foucault prima e Quinn Slobodian poi hanno testi molto chiari – e un cattivo realismo che vede la possibilità del ritorno della protezione sociale solo negli stati nazione.
Lo spazio del nazional-populismo di sinistra in Italia è occupato – per quanto in modo spurio e non esplicito – dal M5S. Il movimento ha sempre contrapposto diritti civili e diritti sociali, in una cornice data da opportunismo, giustizialismo e lotta contro la «casta». Ma queste gerarchizzazioni dei diritti si fondano su idee mitiche della classe operaia.
Le questioni di genere o di discriminazione razziale sarebbero problemi per chi ha la «pancia piena», da «sinistra Ztl» – come recentemente affermato dal sempre raffinato Conte. Come se i migranti non fossero lavoratrici e lavoratori sfruttati anche grazie alla stigmatizzazione di «razza», genere e sesso che li investono.