di Massimiliano Perlato
Accadde cent’anni fa, nel settembre 1904.
Fatti aspri e sanguinosi: alcune migliaia di minatori in sciopero, quattro di loro uccisi e altri undici feriti dai soldati mandati a reprimere quella che si volle credere, e non era, una minacciosa rivolta. Nei mesi precedenti a quel settembre, vi erano stati scioperi di scalpellini a Villasimius e alla Maddalena, di conciatori a Sassari e Bosa, di minatori a Lula e a Montevecchio, a Monteponi e a San Benedetto, a San Giovanni e a Ingurtosu.
E poi, nei primi giorni del 1904, poco dopo la costituzione della federazione regionale dei minatori, è stata la volta di Buggerru, centro che si affaccia sulla costa occidentale dell’isola e che era allora un grosso borgo di 9mila persone circondato dalle miniere che penetravano profondamente nel fianco roccioso delle colline. Borgo d’aspetto non gaio poiché composto da casupole spesso cadenti con gli alloggi operai che salivano a schiere lungo il pendio.
Qui tutto apparteneva alla società francese proprietaria del complesso minerario: i pozzi, la laveria, le officine, i magazzini, la scuola, le case, la terra, sulla quale nessuno poteva costruire un muretto, raccogliere legna per il focolare, piantare un albero.
Alla società francese apparteneva, oltre alle cose inanimate, la vita stessa degli uomini, poiché poteva disporre del loro lavoro, poteva concedere o negare un tetto sotto il quale ripararsi, un luogo nel quale farsi curare nell’eventualità non remota d’un infortunio o d’una malattia (non erano molti i lavoratori che sfuggissero all’insidia della silicosi e della tubercolosi che rodevano i polmoni) … leggi tutto