La dichiarazione fuorviante di Salvini sugli incidenti mortali (linkiesta.it)

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Il capitano dà i numeri

I decessi non sono diminuiti con l’applicazione della riforma del codice della strada, ma il vicepremier non lo sa (o lo nasconde consapevolmente) perché il ministero non riesce a raccogliere in tempo i dati completi, omettendo gli scontri all’interno delle città.

Un problema più grave delle buone o cattive intenzioni del leader della Lega

Il format del video già lo conosciamo: musica trionfante di sottofondo, un maglione casual, un panorama familiare e bucolico alle spalle. L’elemento di discontinuità, però, riguarda i dati, non esattamente al centro della strategia social di Matteo Salvini. Per la riforma del codice della strada, uno dei provvedimenti cardine del suo operato al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, vale la pena fare uno strappo alla regola.

«Nelle prime due settimane di attuazione del nuovo codice della strada (14 dicembre-28 dicembre 2024), i morti sono passati dai sessantasette dell’anno scorso (2023, ndr) ai cinquanta di quest’anno (2024, ndr): meno venticinque per cento. È qualcosa che dovrebbe rendere orgoglioso me e voi, me e voi (ripetuto due volte, ndr, ha detto il leader della Lega in un reel pubblicato su Instagram il 30 dicembre.

(@matteosalviniofficial | Instagram)

Due settimane sono poche per valutare l’efficacia di una norma che, nel caso del codice della strada, ha un approccio meramente sanzionatorio, non interviene sulla riduzione della velocità (prima causa degli scontri mortali in città), omette l’importanza della prevenzione e limita la mobilità sostenibile (ricordiamo che il novantaquattro per cento degli incidenti in Italia è causato dai veicoli a motore).

Il punto, però, è un altro: i dati citati da Matteo Salvini sono incompleti e imprecisi, e rendono la sua dichiarazione fuorviante. A smascherare il vicepremier, forse distratto dalle voci sul suo ritorno al Viminale, è stato l’Ufficio studi di Asaps (Associazione sostenitori e amici della polizia stradale), che da oltre trent’anni opera nel campo della sicurezza stradale e ha accesso a un’importante mole di dati specifici e approfonditi.

I numeri riportati dal ministro dei Trasporti si riferiscono solo agli incidenti mortali rilevati dai Carabinieri e dalla Polizia stradale, che rappresentano il trentaquattro per cento degli scontri con feriti sul nostro territorio nazionale. Il restante sessantasei per cento, infatti, è di competenza delle Polizie municipali, che si occupano di registrare le collisioni all’interno delle città.

E sono proprio i centri urbani i contesti in cui avviene la maggior parte degli incidenti con morti e lesioni. La panoramica fornita da Salvini è quindi parziale.

Non è tutto, perché nel database di Asaps c’è una distinzione tra incidenti in cui le persone muoiono sul colpo o nei giorni «immediatamente successivi» allo scontro: «Tale rilevamento – sottolinea Asaps – peraltro sottostima la mortalità in quanto non tiene conto dei morti entro trenta giorni dall’evento».

I numeri in questione sono stati raccolti in collaborazione con l’Associazione Lorenzo Guarnieri onlus, fondata da Stefano Guarnieri, che nel 2010 ha perso il figlio Lorenzo, diciassette anni, ucciso da un uomo in stato di alterazione alla guida di una moto.

Osservando i dati generali, che sono pubblici e aperti, emerge che nei quindici giorni successivi all’entrata in vigore del nuovo codice della strada sono morte centoundici persone, più del doppio della cifra citata da Matteo Salvini su Instagram (cinquanta). Tra il 14 dicembre e il 28 dicembre 2023, in Italia, sono morti su strada centodieci persone, una in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. Si tratta quindi di uno scenario di stabilità. La riduzione del venticinque per cento, semplicemente, non c’è stata.

Allargando lo sguardo, si nota che dal 14 dicembre 2024 (primo giorno di applicazione del nuovo codice della strada) al 1° gennaio 2025 compreso, sono morte centotrentaquattro persone coinvolte in centoventicinque scontri stradali diversi. Nel 2023 erano rispettivamente centotrentuno (decessi) e centoquindici (incidenti). Anche in questo caso non è emerso alcun calo significativo. Anzi.

«Auspichiamo che, con questa evidenza ricavata da dati pubblici, venga risolta a livello ministeriale la carenza relativa alla raccolta dati sugli incidenti stradali e alla sua tempestività. I ministeri competenti dovrebbero consolidare in maniera tempestiva anche i dati di mortalità provenienti dalle Polizie municipali, che, ricordiamolo, rilevano gli scontri con lesioni in ambito urbano, dove maggiori sono le collisioni stradali con i morti e feriti», scrive Asaps in una nota.

Salvini potrebbe aver agito in buona fede, non avendo a disposizione i dati completi, ma la sostanza non cambia: senza numeri è impossibile architettare soluzioni mirate a un problema complesso come la violenza stradale.

«È mai possibile che i ministeri, tramite le prefetture o altro, non riescano a raccogliere in maniera tempestiva questi dati? Ci riescono delle piccole associazioni di volontari come Asaps e Associazione Lorenzo Guarnieri onlus attraverso dati pubblici e non ci riesce l’enorme apparato statale?

Credo che sia un’enorme mancanza di rispetto per tutti quei morti uccisi nei centri urbani dalla violenza di un sistema di mobilità stradale che passivamente tutti accettiamo», scrive su LinkedIn Stefano Guarnieri.

L’Italia, il Paese più motorizzato dell’Unione europea (684 auto ogni mille abitanti), è uno degli Stati membri Ue in cui si muore più frequentemente sulle strade. A differenza di Spagna e Germania, nel nostro Paese i decessi non calano in maniera significativa da dieci anni.

Nell’Ue, ogni milione di abitanti ci sono quarantacinque morti per incidenti stradali; in Italia sono cinquantadue (siamo diciannovesimi su ventisette per tasso di mortalità). Per quanto riguarda il 2023, l’Istat segnala 3.039 morti (-3,8 per cento rispetto all’anno precedente), 224.634 feriti (+0,5 per cento) e 166.525 scontri (+0,4 per cento). Sono numeri che impongono un totale ripensamento del nostro approccio alla mobilità.

Ecco perché il nuovo codice della strada è un’occasione persa.

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