Il mio addio (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Erano le 10 e 31 e, mentre finivo di leggere sul nostro sito la notizia della scomparsa di un leggendario benefattore di Milano, in una finestra del computer è comparsa una mail intitolata Il mio addio.

«Quando le arriverà questa mia, io non ci sarò più. Come sa, ho speso la vita ad aiutare centinaia di persone in difficoltà, sempre nell’anonimato, però ora mi farebbe piacere se trovasse un piccolo spazio per ricordarmi sul Corriere con il mio nome in chiaro. Un piccolo testamento postumo».

Roberto, si chiamava. Roberto Bagnato. Per i particolari vi rimando al pezzo del suo «scopritore» Giangiacomo Schiavi. Cominciò a scrivermi due anni fa e da allora, fino alle 10 e 31 di ieri, ci siamo scambiati una corrispondenza fittissima. Ai poveri non regalava solo i suoi soldi, ma il suo tempo.

Era capace di trovare casa a una coppia di sfrattati e poi di presentarsi al volante di un furgoncino, fingendosi un manovale, per aiutarli nel trasloco. Diceva che la beneficenza si fa col passamontagna, come le rapine, e che i poveri più bisognosi di cure sono quelli che si vergognano della loro condizione. Apprezzava il pudore e detestava la strafottenza.

Come tanti altri santi, era un incazzoso. Un giorno — in ospedale per la chemioterapia — si avventò su un paziente che ascoltava i vocali del telefono a pieno volume per cantargli in faccia la canzone di Finardi: «Extraterrestre, portami via, voglio una stella che sia tutta mia…».

Buon viaggio, Roberto, ma non sarà molto lungo, perché la stella sei tu.

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