Parola al sociologo
Luigi Manconi: «La politica migratoria del governo ha dilatato fino all’estremo gli errori del passato. I suicidi in carcere? Se vanno avanti con questo ritmo bisognerà chiudere il sistema penitenziario per bancarotta»
Luigi Manconi, sociologo dei fenomeni politici e presidente di A Buon Diritto Onlus, Cecilia Sala è tornata in Italia. Secondo lei qual è stata la contropartita?
Per quanti sforzi titanici faccia, non riesco proprio a essere originale e a discostarmi da quella che mi sembra essere l’opinione pressoché unanime dei più acuti analisti geopolitici così come dei giornalisti più corrivi. Ovvero uno scambio con la mancata estradizione negli Usa di Abedini. La cosa non mi scandalizza affatto. Proprio perché penso che l’incolumità della vita umana costituisca il valore supremo, sono favorevole a qualunque negoziato, trattativa, compromesso: e penso che tutto ciò inevitabilmente comporti anche la possibilità di uno scambio di prigionieri. D’altra parte si è sempre fatto così – quasi con la sola eccezione del sequestro di Aldo Moro – in tutti i casi, fossero di delinquenza comune o di criminalità politica.
In generale non c’è troppa indulgenza nei confronti del regime iraniano da parte del nostro Paese?
Sì, a patto che non si ceda alla retorica reazionaria della petulante domanda “dove sono le femministe”? Fin troppo facile rispondere e “dove sono le donne di Fratelli d’Italia, di Forza Italia o della Lega”? Una controversia patetica. È comunque vero che c’è troppa indulgenza nei confronti del regime dispotico dell’Iran, motivata dalle più diverse ragioni. Ne elenco alcune: un eccesso di realpolitik, una politica vaticana reticente verso quella teocrazia iraniana, quello che so essere un ottimo rapporto tra i Servizi Segreti italiani e gli apparati di sicurezza di Teheran; e, ragione che ha a che vedere con l’inconscio collettivo, una certa riluttanza a riconoscersi in una rivoluzione dalla fisionomia così significativamente femminile.
Tornando verso l’Italia, la premier Meloni durante la conferenza stampa di due giorni fa ha detto che grazie anche alla recente sentenza della Cassazione i centri in Albania torneranno presto operativi. Lei che ne pensa?
Il senso di quella sentenza della Cassazione è stato manipolato, fino a rovesciarne l’interpretazione autentica. È stata confermata, cioè, la giurisprudenza consolidata e si è sottolineato con forza che deve essere il singolo giudice ad accertare se, per il singolo richiedente asilo, quel paese sia o meno sicuro. Esattamente ciò che ha motivato le precedenti sentenze dei magistrati che tanto scandalo hanno suscitato a destra e nel Governo.
Il quotidiano tedesco Bild ha elogiato la politica di Meloni sui migranti: “Cambiare è possibile”. Lei che giudizio dà della politica migratoria di questo governo?
Do un giudizio incondizionatamente negativo. Dal cosiddetto decreto Cutro a oggi, passando appunto per i fallimentari centri albanesi, la politica migratoria del Governo ha ripetuto, dilatandoli fino all’estremo, gli errori del passato. La sgangherata affermazione di Giorgia Meloni: “cercheremo gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo” non ha portato all’arresto di alcun vero trafficante, bensì alla carcerazione di tanti migranti innocenti, come Maysoon Majidi e Marjan Jamali.
“Io ascolto sempre – ha detto Meloni in conferenza stampa – con grande attenzione le parole di papa Francesco, che ringrazio” ma “il modo serio è quello di risolvere la questione non con amnistie, indulti o svuotare i carceri, ma ampliare la capienza delle carceri , rendere più agevole il passaggio dei tossicodipendenti in comunità e intensificare il numero di accordi con altri Paesi che consentono alle persone straniere condannate in Italia di scontare la pena nel Paese d’origine. È così che si garantisce un sistema più dignitoso per i detenuti”. Come commenta?
Qui c’è uno strafalcione che ha una portata – oso dire – anche teologica. Il Papa non si limita a richiamare l’opera di misericordia corporale “visitare i carcerati”. Sostenuto dal suo consigliere giuridico, il grandissimo Eugenio Raul Zaffaroni, ha suggerito ripetutamente, da dieci anni, il ricorso a misure legislative come amnistia e indulto: provvedimenti normativi che, possiamo dire, fanno parte ormai della pastorale della Chiesa e danno un senso concreto al principio dell’indulgenza. Provvedimenti di cui ha urgentissimo bisogno il nostro sistema penitenziario per evitare che il suo ormai palese fallimento si traduca in una tragedia senza fine. È insopportabile, poi, che queste misure di clemenza vengano trattate con sprezzo e dileggio, quasi fossero eccentrici stratagemmi e non preziosi elementi di politica penale previsti dalla carta costituzionale. E infine, a proposito di “ampliamento della capienza delle carceri” a fronte di una carenza di 15/16.000 posti, quanti ne sono stati ricavati nel corso di due anni di governo Meloni – Nordio?
L’anno è iniziato con altri suicidi in carcere. Nordio si limita a dire che sono un “fardello” ma per gli istituti di pena non fa nulla. Dobbiamo arrenderci o c’è qualcosa che questo Parlamento può fare?
La definizione di “fardello” credo che alluda a una responsabilità morale: e questa c’è, indubbiamente. Ma, se il ritmo dei suicidi registrati nei primi dieci giorni del 2025 continuasse per l’intero anno, penso che il legislatore dovrebbe disporre ragionevolmente la chiusura del sistema penitenziario a causa della sua evidente e irrevocabile bancarotta.
Il presidente Mattarella ha indirettamente replicato al sottosegretario Delmastro delle Vedove: “I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità”, ha detto il Capo dello Stato nel suo discorso di fine anno. Ha provato una “intima gioia” nel sentire quelle parole?
Non nego di apprezzare questo elegante gioco di rimandi e di allusioni e, benché forse solo pochi lo abbiano colto, quel verbo “respirare” utilizzato dal capo dello Stato mi è sembrato magistrale. Per quanto riguarda il sottosegretario Andrea Delmastro, si tratta in tutta evidenza, di una dolorosa vicenda umana sulla quale maramaldeggiare non sarebbe di buon gusto.
Caso Ramy Elgaml: la giustizia farà il suo corso e bisogna essere garantisti sempre. Ma che idea si è fatto della vicenda?
Il segretario generale del Nuovo Sindacato Carabinieri ha rivelato che il video tramesso dal Tg3 è stato girato dalla telecamera di una gazzella. Ma quella videocamera non fa parte della dotazione dell’Arma, è stata acquistata a spese degli stessi militari. Ma ci si rende conto? Eppure è esattamente da trent’anni che si chiede che tutti gli operatori di polizia in servizio di ordine pubblico abbiano una bodycam sulla divisa. Qualche anno fa se ne è sperimentato l’uso, ma dopo un periodo di prova non se ne è saputo alcunché. Per quanto riguarda il merito dell’accaduto, temo che le frasi registrate dei Carabinieri abbiano un significato inequivocabile: si voleva, come dire, speronare lo scooter dei due giovani e, in un modo o nell’altro, ci sono riusciti. Dopo di che, ho fiducia nella magistratura milanese.
Il 15 gennaio presenterete il Rapporto sullo stato dei diritti in Italia. Qual è lo stato di salute del nostro Paese in merito ai diritti? Penso al esempio al ddl sicurezza in discussione.
Lo stato dei diritti in Italia era assai gracile, gravemente deficitario in alcuni campi e complessivamente molto arretrato già prima dell’avvento del governo di Giorgia Meloni. Gli oltre due anni trascorsi dal suo insediamento hanno peggiorato il quadro generale e indebolito la struttura dell’intero sistema di tutele e garanzie. Si pensi ai numerosi provvedimenti, fino al nuovo codice della strada, indirizzati contro il consumo personale – come si sa, perfettamente lecito – di derivati della cannabis. E al divieto, per i migranti privi di permesso di soggiorno, di acquistare una carta Sim. Qualcosa davvero di inaudito. Ancora, si pensi ai diversi “pacchetti sicurezza” che hanno introdotto una cinquantina tra nuovi reati e misure di incremento delle pene, in spregio delle molte parole spese in passato dal Guardasigilli contro il “panpenalismo”. Sia chiaro, non è il fascismo – e per carità evitiamo di evocarlo ancora – ma siamo lontanissimi da quello stato di diritto e da quella democrazia liberale in cui vorremmo vivere.