di Aldo Grasso
Padiglione Italia
Eccessi. Anche nei trumpiani «nostrani» il non porsi limiti semplifica la realtà
Nel suo discorso d’insediamento, Donald Trump ha usato questa espressione: The revolution of common sense . Tutti hanno tradotto «buon senso».
Il concetto è poi stato ribadito in collegamento con Davos. Espellere i migranti in catene, uscire dall’Oms, chiudere gli uffici federali per la diversità, prendere provvedimenti aggressivi e isolazionisti rientra nella sfera di quello che noi chiamiamo «buon senso»?
Dobbiamo ancora fare ricorso a Manzoni quando, a proposito degli untori, scrive: «Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune». Il senso comune (common sense) si propaga come una cascata di gesti incongrui, irrazionali e travolge il buon senso.
È un giudizio affrettato ma condiviso da molti e, come sostiene B. Russell, aiuta a mantenere l’ordine in una società che si adatta all’incompetenza collettiva. È una caricatura di «conoscenza condivisa» che ci accompagna e permette di prendere decisioni più velocemente, semplificando la comprensione della realtà.
In Trump e nei trumpiani nostrani (anche la Lega vuole uscire dall’Oms) tutto è eccesso. Per loro «buon senso» significa non porsi limiti, non riconoscere i contrappesi, sfuggire la complessità: esistono solo maschi e femmine, qualsiasi auto va bene, drill, baby, drill, trivella finché vuoi. Con la forza virile del doppio senso.