di Massimo Gramellini
Il caffè
Salvo ripensamenti dell’ultima ora, oggi Sinner non parteciperà ai festeggiamenti del tennis italiano al Quirinale e la sua assenza farà più rumore di quanto ne avrebbe fatto la sua presenza.
La giustificazione addotta è medica: il paziente ha bisogno di riposo. Ma se le condizioni di Sinner sono tali da sconsigliare persino una corvée di breve durata — un volo di due ore, quattro fotografie e una stretta di mano con Mattarella — significa che la situazione è davvero preoccupante.
Preferiamo pensare a un’altra ipotesi: che qualcuno lo abbia consigliato male. L’invito del presidente della Repubblica non è equiparabile a quello del festival di Sanremo: chiamarsene fuori procura disagio, specie se il tuo nome è il primo della lista degli invitati. Sembra uno sgarbo, anche se non vuol esserlo.
Uno sgarbo, oltretutto, a un presidente che ama lo sport: chi non lo ricorda alle Olimpiadi, in giacchetta sotto il diluvio?
Queste cerimonie ufficiali sono solo dei riti, obietterà qualcuno. Certamente, ma la forma è sostanza. Andare al Quirinale con gli altri protagonisti del Risorgimento tennistico italiano significava riaffermare la propria appartenenza a quel gruppo.
Disertando l’evento, il nostro fenomeno rischia di mandare il segnale che la sua squadra si esaurisca in sé stesso. Il che probabilmente è vero per ogni campione.
Ma nella sinfonia di Sinner, che un po’ tutti abbiamo contribuito a suonare, appare come una nota stonata.