di Mario Lavia
L’indolente Giorgia
La premier si atteggia a leader europeista o trumpiana a seconda del momento. Ma questo non fare scelte non è saggezza, è solo una mancanza di linea politica che non fa bene al governo né all’Italia
Va bene, Palazzo Chigi ha smentito alcune ricostruzioni giornalistiche secondo le quali Giorgia Meloni a cena con i suoi sodali a Bruxelles avrebbe detto, contenta di sé, di aver fatto «impazzire la sinistra» con l’intemerata contro il Manifesto di Ventotene. E bisogna prenderne atto.
Eppure è indiscutibile che, forse non lei, ma certo tanti suoi seguaci disseminati tra Parlamento e alcune redazioni – ormai un unico squadrone – in queste ore sogghignino, taluni sghignazzino, persuasi che con quell’attacco a Altiero Spinelli la premier abbia fregato tutti. Ma fregato chi?
Caduta la cartapesta del comizio anti-antifascista nell’aula sorda e grigia di Montecitorio restano due cose: l’inasprimento degli animi di mezzo Paese, cosa che in generale non serve mai a chi governa, e soprattutto l’indecifrabilità della linea politica del governo.
Che è dovuta da una parte alla furbizia della premier – che continua a fare due parti in commedia, la trumpiana in generale e l’europeista sull’Ucraina in particolare –, e dall’altra parte alla persistenza dell’antieuropeismo di Matteo Salvini, che si sta rivelando una spina nel fianco più dura del previsto.
Il risultato è che non si capisce quale sia la posizione del governo italiano. Ma per fortuna di Meloni questa mancanza di chiarezza va a collocarsi in un clima europeo che, dopo giornate rutilanti, appare improvvisamente come sfilacciato, tale da non consentire quello scatto in termini di concretezza che sarebbe auspicabile.
Non è il caso di drammatizzare: il Consiglio europeo che si sta tenendo nella capitale belga non è chiamato a decisioni storiche, e comunque la discussione non è sul se andare avanti sul ReArm Europe ma sul come: politicamente in Europa nessuno si sta tirando indietro.
Dunque il problema non è che la premier non abbia «un mandato» ad andare avanti, come le aveva gentilmente fatto notare il leghista Riccardo Molinari, quanto il fatto che effettivamente Meloni non sta facendo nulla per compattare il governo su una posizione univoca e netta, ritenendo, a torto, che l’indeterminatezza sia la bussola giusta per navigare tra opposte esigenze, l’ossequio a Trump e la fedeltà all’Unione europea.
Nel quadro di un assenso che lei ha già dato al Piano, la presidente del Consiglio ogni tanto mostra scetticismo e qualche contrarietà. Insomma dà l’impressione di menare il can per l’aia in attesa degli eventi: un anti-decisionismo che non è saggezza temporeggiatrice ma che odora di doppiezza. C’è da sperare che non sia così perché è l’Italia a non fare bella figura.
Meglio va invece sull’Ucraina, un capitolo sul quale la presidente del Consiglio non è mai arretrata. Ieri il Consiglio europeo ha confermato il suo «continuo e incrollabile sostegno all’indipendenza, alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale», garantendo il sostegno finanziario su base volontaria a Kyjiv, dove il presidente Volodymyr Zelensky sta muovendosi ogni giorno per arrivare a un primo risultato, ovviamente ostacolato a suon di bombe da Vladimir Putin, ma potendo contare anche sull’iniziativa di Keir Starmer, il leader più determinato a dar man forte all’Ucraina.
Il premier inglese ha spiegato che l’incontro di ieri della “coalizione di volenterosi” ha riguardato la trasformazione dell’idea di sostegno all’Ucraina in «piani militari». Starmer ha sottolineato che «adesso stiamo lavorando a ritmo sostenuto, perché non sappiamo se si troverà un accordo. Spero vivamente di sì, ma se ci sarà un accordo, è davvero importante che saremo in grado di reagire immediatamente».
Ecco che vuol dire un leader che decide, altro che i comizi contro gli antifascisti.