Dimostrando che nel mondo ciò che vale è solo la forza
«Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza internazionale. Dobbiamo averla»: Donald Trump parla chiaro, anche se ciò che dice fa a pugni con la democrazia. Il 26 marzo, il presidente Usa ha dato ancora sfogo alle sue brame sull’isola.
L’uscita del tycoon cade in una fase delicata per il territorio autonomo danese: fervono trattative per un nuovo governo, a seguito delle elezioni dell’11 marzo che hanno portato il partito Demokraatit a triplicare i consensi (29,9% dei voti). Trump sta saturando la comunicazione.
I social network sono un cannone nelle sue mani: li usa per mettere spalle al muro gli interlocutori. Spara post apodittici a cui fa seguire atti che appaiono come editti. Dai dazi alla partita ucraina, prima partono i ceffoni poi si siede al tavolo. Chi lo ha di fronte deve capire se sta bluffando o ci crede davvero. Lui legge le reazioni, riadatta la postura, quindi va dritto al risultato col minimo sforzo.
Trump può farlo, perché è il Commander in chief della potenza globale. E perché è l’epoca della post verità: le fake news impazzano, persino nelle cancellerie; si screditano le fonti ufficiali; si può dire tutto e il suo contrario senza pagar dazio nelle urne. Trump s’è messo comodo e dal social di cui è proprietario lancia anatemi a raffica: l’ha creato, dice, «contro gli altri media che dicono bugie». E ora sono al suo servizio.
L’ha chiamato “Truth”, verità, forse con ironia. I suoi input rimbalzano ovunque. Ogni soffio diventa ciclone. I guasti però non mancano. Se fino a pochi anni fa, chi si comportava così era bollato come “una minaccia per l’Occidente”, in politica finiva ai margini e diventava “un paria” nella comunità internazionale, oggi le intemerate di Washington stanno scollando gli Usa dagli alleati.
Putin non può che gioirne: dopo l’invasione dell’Ucraina era alla berlina. Un mandato d’arresto della Corte penale internazionale gli complicava la vita, solo i leader dei Brics lo tenevano in piedi. Ora è tornato al centro della scena, riabilitato dagli States come interlocutore, in base al più classico degli schemi della guerra fredda: le sfere d’influenza.
In più, oggi Mosca si frega le mani: le minacce di Trump su Panama e sulla Groenlandia legittimano la forza come unica regola. Il che, nel percepito e nelle narrazioni, derubrica da crimine a fatto naturale, l’annessione della Crimea e la conquista degli oblast ucraini.
Anche Pechino sorride, guardando a Taipei. In Europa, invece, la mente corre al Lebensraum, «lo spazio vitale necessario ai tedeschi» con cui Hitler giustificò la conquista dell’Est Europa. Non è chiaro se la rottura del principio di sovranità disturbi i sovranisti.