La pochezza della politica italiana (diario.word)

 di Gregorio Dimonopoli
Ore frenetiche ad inseguire il topolino 
liberato da nani politici mentre il futuro sfugge
Mentre i gatti (segretari politici) inseguono il topo referendario lasciato libero dai nanetti gialli, consapevoli che su altre partite non riusciranno neanche a rosicchiare mezza crosta di formaggio, il maggiordomo di Palazzo Chigi racconta allo Stivale, sullo sfondo, che ci saranno miraggi mirabolanti raggiungibili in breve periodo.
Nella povertà elaborativa di un pensiero tutt’altro quindi che di ampia veduta ci si appella al soccorso di un “Recovery Fund”. Ecco, proprio qui sta il guaio di una sconfortante miopia politica.
Partiamo infatti dalle parole, alle quali si schiavizza anche il giornalismo nazionale, nessuno escluso.
Recovery Fund è utilizzato solo in Italia. Nessun altro Paese europeo lo utilizza. Ce lo siamo inventati noi. Per tutti gli altri componenti del consesso continentale i finanziamenti stanno sotto il cappello di un ben preciso progetto denominato Next Generation Eu.
Anche per chi non abbia dimestichezza con la lingua inglese non può non palesarsi la differenza tra le due definizioni.
Una richiama, forse non tanto inconsciamente, una sorta di recupero, di rimedio con una eco anche in termini sanitari. E se fosse così, su quest’ultimo punto, ci sarebbe il MES, tanto odiato (?) dai nani politici di cui sopra, Una voglia dunque di ritornare ad una situazione pre Covid. Non più credibile.
Non è su questo che un timido ma importante risveglio dell’istituzione sta puntando.
Si parla invece di una prossima generazione, la stessa che dovrà farsi carico dei debiti che ora andremo a contrarre, pur a condizioni inimmaginabili sino ad un anno fa. La stessa che saprà se saremo stati capaci di progettare, aver avuta una visione prospettica di lungo respiro che lenisca il dato economico da lenire.
In Italia no, siamo lontani da tutto ciò. Elemosiniamo ancora consensi asmatici per accontentare questa o quella categoria, ora ed adesso. E anche i sindacati sono su quell’onda, senza nessuna meraviglia, viste le loro ormai insuperabili visioni basate solo su taylorismo e fordismo, prive di senso della realtà attuale ma, soprattutto, di un futuro.
Per non parlare delle cosiddette rappresentanze di base, un pianto. Di base, appunto, perché lì sempre restano.
In un momento forse così importante nel quale una donna che si chiama Ursula von der Leyen riesce a mettere nell’angolo protagonismi, che a dirla morbida vengono definiti sovranisti, in Italia presentiamo alle Camere una bozza programmatica che dovrà essere, certo elaborata, per esserla presentata il prossimo 15 ottobre.
Un pianto di genericità e banalità. Che vergogna.
Che manchi una classe dirigente non è un problema dell’oggi, ovvio, così come lo è l’ispessimento delle resistenze ad ogni proposta di cambio di marcia. Molti e molte speriamo, voteranno NO domenica o lunedì. Stesse persone che hanno la matita stitica sin dal 2016.
E forse, in separata sede, meriterebbe una riflessione su quei cambiamenti allora proposti che se ora elaborati ed acquisiti averebbero anche evitati gravissimi guai vissuti nei mesi scorsi, con protagonismi esasperati resi possibili dallo status quo.
Pazienza, il tempo dirà.

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