di Mario Lavia
ReArm Giuseppi
La piazza contro la difesa europea ha sancito la subalternità della segretaria del Pd al populista dei Cinquestelle. Ormai è come se ci fosse un partito unico estraneo alla famiglia socialista internazionale, e l’unico leader è l’avvocato del popolo
E adesso povera Elly, how does it feel, diceva Bob Dylan? Come si sente, questo Partito democratico che ha lavorato per il re di Prussia, alias Giuseppe Conte, a furia di lisciare l’antieuropeismo e la demagogia sociale?
Elly Schlein ha contribuito a forgiare e poi regalare al campione del trasformismo italiano (un amico di Vladimir Putin che si dice contro le armi) una massa radicale e estremista: quanti elettori democratici all’adunata travagliesca di sabato a Roma, che si sono sentiti coperti da Francesco Boccia, Sandro Ruotolo e gli altri giovanotti del Nazareno.
Sono accorsi tutti ai Fori Imperiali seguendo il richiamo pacifista degli anni di Berlinguer, rievocato da Andrea Orlando per stabilire una continuità, che poi è reale, tra i comunisti contro i missili anti-Breznev e Barbara Spinelli contro i missili anti-Putin. Solo che, quarant’anni dopo, il capo della sinistra del Partito democratico non dovrebbe fare fatica a criticare l’Orlando diciottenne che marciava contro quegli euromissili che servirono a garantire l’equilibrio mondiale.
Evidentemente il tempo è passato invano per i professionisti del pacifismo tipo Flavio Lotti e quelli di Arci-Acli-Anpi, il cui ardore antieuropeo che chiude gli occhi davanti agli orrori di Bucha è stato facilmente strumentalizzato da un ex premier che quando stava a palazzo Chigi aumentava le spese militari e faceva i salamelecchi al Trump Uno. Ma questo appartiene alla indubbia capacità trasformistica dell’avvocato, ed era nel conto.
Conte oggi torna a essere il leader di quel pezzo di elettorato di sinistra e del Partito democratico il cui gruppo dirigente, non a caso proveniente dalla vendoliana Sel, poi LeU, poi Articolo Uno, al massimo dalla corrente bersaniana e dalemiana, chiamato sul ponte di comando da una segretaria estranea alla cultura riformista del Pd e dei partiti che lo generarono.
Anche lei, Schlein, se non proprio trasformista, è una che si sta barcamenando molto: dice no al riarmo nazionale, e dunque europeo, ma sì alla difesa europea, si astiene, vota a favore, vota contro, si dissocia dal Partito socialista europeo, si accorda col Partito socialista europeo, va alla manifestazione di piazza del Popolo, manda i suoi a quella di Conte e aderisce a quella di Bologna di ieri.
Michele Serra il 15 marzo intelligentemente aveva apparecchiato una bella piattaforma per offrire al Pd una chiara via europea alla pace, solo che tre settimane dopo Schlein ha abbracciato Marco Travaglio, che con il suo giornale la percula tutti i giorni. Lo stesso Serra, parlando ieri a Bologna, ha ricordato che «da un lato c’è l’Ucraina, dall’altra Trump, e Gaza che ci vede totalmente assenti con zero diplomazia, zero presenza, ed è una cosa che succede a mille chilometri da noi».
Ecco, dov’era l’Ucraina nei discorsi di Conte? Ma dov’era anche Trump? Si può sostenere che, al di là delle cifre e delle presenze, politicamente la manifestazione del Movimento 5 stelle ha segnato un punto a favore di quella sinistra radicale, antieuropea che contiene frange espressamente filoputiniane: è un pezzo di Italia che esiste e che ha comprensibilmente paura delle armi e delle guerre, ma che andrebbe convinto che nell’attuale fase della storia il vecchio pacifismo è come quei begli oggetti inservibili che si trovano nei bauli della nonna.
Schlein invece è totalmente subalterna alla facile narrazione del no alle armi, malgrado un esperto come l’ambasciatore Piero Benassi al recente conclave dei deputati democratici abbia spiegato per filo e per segno come sia sbagliato dire no al piano militare europeo («Serve per rimpinguare le scorte nei magazzini che abbiamo svuotato per mandare le armi a Kyjiv, è una questione di sicurezza nazionale.
E poi il fondo europeo serve anche per l’intelligence e la cybersicurezza») e tanti nel partito osservino che non c’è contraddizione, ma semmai congruenza, tra la fase della spesa militare nazionale e l’obiettivo della difesa europea.
Ma Elly niente. Di fatto lei, Conte e Nicola Fratoianni sono ormai i capi di un partito unico, e se lo facessero per davvero sarebbe un contributo alla chiarezza. Un partito unico che vuole di fatto espungere le Picierno e i Gentiloni dalla vita di questo radicale campo non largo.
Nel quale prende slancio la figura di Giuseppe Conte, che adesso è nella posizione di rivendicare qualunque cosa, anche la leadership di questo virtuale partito unico. Perché a differenza di Schlein ha alle spalle un’esperienza di governo e può persino farsi accettare dall’uomo nero di Washington che lo chiamava “Giuseppi”, mentre Elly Schlein non sa nemmeno chi sia. Conte potrebbe anche vincere le primarie di coalizione contro la segretaria del Pd.
Il capolavoro del Partito democratico, fondato illo tempore per governare l’Italia, sarà stato dunque quello di regalare la competizione per il governo ai due grandi populisti della politica italiana, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, cui il partito di Francesco Boccia e Sandro Ruotolo in cerca di ministeri e sottosegretariati reggerà la scala.
E questa probabilmente cascherà addosso a un’Elly sempre più with no direction home.