Il partigiano Pietro Chiodi (doppiozero.com)

di Enrico Manera

Pietro Chiodi (1915-1970), filosofo e 
partigiano, ha legato il suo nome 
all’esistenzialismo in Italia, agli 
studi e alle traduzioni di Kant, di 
Sartre e di Heidegger. 

A lui si deve, oltre alla sistemazione definitiva della complessa terminologia heideggeriana, molto della ricezione del filosofo tedesco che ha permesso di leggerne il pensiero “da sinistra”, inaugurando una fortunata stagione teorica in Italia. Nicola Abbagnano, amico e interprete dell’esistenzialismo positivo, nel ricordo pubblicato il giorno dopo la morte di Chiodi, ha scritto che «fu filosofo per la stessa ragione per cui fu partigiano. Si trattava di realizzare con mezzi diversi uno stesso scopo, quello di contribuire ad emancipare l’individuo e ad affermarne in modo completo l’umanità».

Una immagine di Chiodi, certamente trasfigurata dalla penna dello scrittore ma comunque realistica, ci viene restituita anche attraverso le descrizioni che Fenoglio, che è stato suo allievo ad Alba, ha lasciato del “suo” professore: «Sprizzante naturalmente, anche in riposo, intelligenza dialettica e disciplina filosofica, appoggiata alla larga mano troppo villosa».

In Il partigiano Johnny in un dialogo letterario ma verosimile con il personaggio del prof. Monti, sono riproposte le parole di Chiodi su Kierkegaard e sulla sua attualità: «Vedi, l’angoscia è la categoria del possibile. (…) Da una parte l’angoscia, è vero, ti ributta sul tuo essere, e te ne viene amarezza, ma d’altra parte essa è il necessario “sprung”, cioè salto verso il futuro». Chiodi e Fenoglio – vicini anche nel dopoguerra – e altri come loro avrebbero scelto, tra tutte le possibilità di quel tragico passaggio della storia d’Italia del 1943-45, il salto più difficile e autentico: diventare partigiani. Banditi.

Banditi è un testo redatto in forma di diario tra il 1945 e 1946 sulla base di appunti presi nel periodo 1939-1945. Ha avuto diverse edizioni (Anpi 1946, Alba; Panfilo, 1961 Cuneo; Einaudi del 1975/2002, 2015, Torino, “l’Unità” 2003). Davide Lajolo, su «l’Unità» del 10 ottobre 1946, nel recensire la prima edizione ne parlava come del «libro più vivo, più semplice, più reale di tutta la letteratura partigiana». Tra i suoi lettori, Fortini lo ha definito «quasi un capolavoro […] che vorrei che tutti leggessero».

Bobbio lo definisce di un «diario duro e scarno” in grado di restituire «l’impressione della reale spietatezza di quella lotta, della violenza delle passioni contrastanti, della severità degli impegni assunti, che bisognava mantenere sino al sacrificio, della atmosfera di angoscia che dominava le famiglie in contatto con le bande» … leggi tutto

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