Il Patto sull’immigrazione e l’asilo, presentato il 23 settembre dalla Commissione europea, è riuscito a sconvolgere perfino chi, come me, non si aspettava nulla di buono.
Prima di esaminare alcuni dei suoi aspetti più problematici, vorrei fare un rapido salto indietro nel tempo. Nel 2008 il Consiglio europeo adottò un Patto sull’immigrazione e l’asilo, frutto di mesi di negoziati, dibattiti e raccomandazioni da parte della società civile. Rileggere i cinque principali obiettivi di quel patto permette di misurare la profondità del baratro in cui è sprofondata l’Unione europea in appena dodici anni.
Nel 2008, il primo obiettivo era “organizzare l’immigrazione legale tenendo conto delle priorità, delle esigenze e delle capacità d’accoglienza stabilite dagli stati membri e favorire l’integrazione degli immigrati”.
Gli obiettivi seguenti erano: “controllare l’immigrazione clandestina e favorire il ritorno volontario dei migranti nei loro paesi di origine o di transito”; “rendere più efficaci i controlli alle frontiere”; “costruire un quadro europeo in materia di asilo”; e infine “creare un partenariato globale con i paesi terzi per favorire le sinergie tra migrazione e sviluppo”.
Nel patto del 2020 l’immigrazione legale è diventata una faccenda da affrontare in un secondo momento, come ha dichiarato il videpresidente della Commissione Margaritis Schinas. Il quadro europeo in materia di migrazione e asilo poggia ormai su due pilastri: bloccare e rimpatriare.
E il partenariato globale con i paesi terzi non finge più di essere un rapporto alla pari: ogni mezzo di pressione è lecito per costringere i paesi di origine e di transito a trattenere le persone dirette verso l’Unione europea … leggi tutto