Sono davvero tanti gli esempi di norme introdotte dal governo gialloverde per rendere difficile la vita degli immigrati che vivono in Italia. Il razzismo è un problema culturale, non si risolve per legge. Ma la legge non dovrebbe contribuire ad aggravarlo.
Un atteggiamento già assunto nel contratto di governo
C’è “chi ha volutamente alimentato la diffidenza nei confronti degli immigrati trasformandola in aperta ostilità” ha scritto di recente Tito Boeri. È un atteggiamento che non solo ha caratterizzato l’ultima campagna elettorale e continua a connotare le dichiarazioni di esponenti di governo, ma si è anche tradotto sul piano normativo in regole che tendono a sfavorire gli immigrati, a gravarli di particolari oneri burocratici o addirittura a discriminarli.
Di questa sorta di “razzismo” c’è traccia già nel cosiddetto “contratto di governo”. Ad esempio, al punto 18 si menziona il “sostegno per servizi di asilo nido in forma gratuita a favore delle famiglie italiane”: le altre, quindi, sembrerebbero escluse. Ma anche in una delle misure bandiera dell’esecutivo, il reddito di cittadinanza, si ritrova l’atteggiamento di sfavore.
Infatti, alle persone di origine straniera non basta avere i requisiti previsti per la generalità dei richiedenti, poiché per loro la legge ha posto paletti ulteriori che ne ostacolano la fruizione: dieci anni di residenza in Italia, di cui gli ultimi due continuativi, condizione che per gli stranieri è più difficile rispettare; certificazione dell’autorità estera competente, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall’autorità consolare italiana, attestante la composizione del nucleo familiare e la situazione reddituale-patrimoniale … leggi tutto