di Rocco Ronchi
La fantascienza da tempo si interroga sul posto dell’uomo nel regno delle macchine. Già nel 1872, Samuel Butler in Erewhon avanzava una ipotesi tanto fantastica quanto pertinente alla nostra attualità iperteconologica.
La funzione residuale dell’umano, secondo Butler, si risolverebbe nel costituire l’apparato genitale delle macchine. Le macchine si accendono e si spengono, ma per potersi riprodurre hanno bisogno di qualcosa che inizi e che finisca. Hanno bisogno cioè di una “attività” che non è produzione, che non è lavoro, che non è “oggettivazione”.
Lavorare le macchine lo sanno fare benissimo perché sono state costruite per quello e lo faranno sempre meglio con buona pace di chi continua a identificare la causa dell’umano con quella del lavoro vivo: ciò che resta ancora oggi del lavoro è solo un’appendice del sistema delle macchine. La loro funzionalità è legata piuttosto al consumo e il consumo è una peculiarità del vivente, vale dire di quell’ente che è fatto di dissipazione di energia … leggi tutto