Trump, Johnson, Bolsonaro: la tirannia dei buffoni (doppiozero.com)

di Oliviero Ponte Di Pino

Martedì 3 novembre 2020, gli Stati Uniti 
d'America torneranno a scegliere il loro 
presidente. 

Non è solo una sfida tra democratici e repubblicani, tra l’irruenza del miliardario da talent show e la grigia competenza del politico di professione, tra il populismo movimentista e l’apparato di partito. La riconferma di Trump sancirebbe il trionfo della “Tirannia dei Buffoni”, come la definisce il politologo francese Christian Salmon nel suo recente La Tyrannie des Bouffons, Les Liens Qui Libèrent, 2020.

Nella galleria di Salmon, accanto a Trump e Boris Johnson, rientrano il brasiliano Bolsonaro, il filippino Duterte, l’ungherese Orban e l’indiano Modi, nonché l’italiano Matteo Salvini (e di striscio Beppe Grillo, il prototipo del “comicopolitico”). Ultimo arrivato, la star delle serie tv ucraine Zelensky. Per gli studenti ai quali era stato mostrato un video con le sue affermazioni più controverse, Bolsonaro appare “cool, perché è un mito, perché fa ridere, perché dice quello che pensa” (Salmon, p. 63).

Come mai queste figure grottesche (vedi Bachtin) hanno occupato la scena politica e dominano il carnevale mediatico globale? A questi improbabili leader mancano le doti necessarie al (buon) governo: non dimostrano né autorevolezza, né carisma né competenza. Non hanno nemmeno l’investitura della tradizione, anche se guardano a un passato di cui vorrebbero restaurare la gloria. Proliferano le nostalgie: “Make America Great Again” oppure “Take Back Control”, per non parlare delle ambizioni imperiali dello zar Putin (“Risollevare la Russia in ginocchio”) e del sultano Erdogan (anche se per farlo si mette sullo stesso piano dei vignettisti di “Charlie Hebdo”). Meno ambizioso, Salvini si accontenterebbe di riaprire i bordelli e tornare al servizio militare obbligatorio.

Per questi giullari politici (vedi la recensione a Leader, giullari, impostori), la sincerità e la coerenza sono un fardello inutile. È vero che i politici hanno sempre mentito, ma costoro ostentano una clamorosa indifferenza sulla veridicità delle proprie affermazioni. “I fatti non contano”, ha decretato Putin dopo aver invaso la Crimea.

Andrew Breitbart (1969-2012), il profeta dei neoconservatori americani, notava che i personaggi di maggior successo sono un mix di vittimismo e desiderio di vendetta. E in questi capipopolo si rispecchiano i profili psicometrici che diventano i bersagli delle campagne di microtargeting:

“La nevrosi può rendere una persona incline all’ideazione paranoide, man mano che si accentua la sua propensione all’ansia, all’impulsività e all’affidarsi al pensiero intuitivo anziché a quelle deliberativo, razionale. Chi invece mostra marcati tratti narcisistici è vulnerabile perché più portato all’invidia e alla presunzione, due importanti catalizzatori dei comportamenti trasgressivi e di ribellione all’autorità.

I bersagli che rientrano in questa categoria tendono con maggior facilità a sentirsi vittima di ingiustizie, persecuzioni o trattamenti iniqui” (Christopher Wylie, Il mercato del consenso. Come ho creato e poi distrutto Cambridge Analytica, Longanesi, 2020, p. 66) … leggi tutto

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