Qualche giorno fa mi ha scritto Ivanka. “Stiamo combattendo per il futuro del nostro Paese. Dipende tutto dal tuo voto”.
Prima di lei si erano fatti vivi Lara e Don Jr incoraggiandomi a votare per posta – benché da mesi il Padre Presidente ripeta che è fonte inesauribile di brogli. Per il resto, da mesi a scrivermi è una certa Sarah. Mi chiede se sono pronta a votare per “Make America Great Again”, quanto sono preoccupata per le “sommosse” di Portland e incalza senza pietà: vota, vota, vota. Sei già andata a votare? Quando voterai?
È tutta colpa mia. Qualche anno fa, quando qui in Louisiana si eleggeva il governatore, mi sono registrata a un rally di Trump. Volevo vederlo in azione dal vivo. Ho dato forfait causa influenza e ancora mi mangio le mani, intanto il mio numero è finito nelle liste dei supposti simpatizzanti. Potrei svanire con un clic, ma non lo faccio.
Nell’isolamento forzato di questa pandemia, ogni messaggio di Sarah e della Dinastia, come ormai la chiama il Presidente, è uno strattone che mi riporta alla realtà. Mi ricorda che c’è una ragione (anzi sono parecchie) se appena esco di casa vado a sbattere contro un cartello Trump 2020, se la gente rifiuta le mascherine, se qualcuno minaccia di rapire la governatrice del Michigan. Mi ricorda che l’America non si esaurisce nella bolla delle mie opinioni. E che a fidarsi dei giornali e degli opinionisti si rischiano parecchi abbagli.
Il mio non è un pronostico, per carità. Scrivo a due giorni dall’Election Day, la chiusura della stagione elettorale – ormai è una stagione, come quelle della moda. I poll hanno già detto tutto e così i candidati. La posta in gioco è chiara e così i rischi: la pandemia, l’Obamacare che i repubblicani promettono di cancellare, la crisi economica, il diritto all’aborto, il climate change e via dicendo.
Il Presidente ha già chiarito cosa farà per Covid 19 e cioè praticamente niente. Se è sopravvissuto lui, è il messaggio, ce la faremo anche noi. O forse no, ma non importa. La selezione naturale è naturale, no? Quanto al resto, ormai si sa. Più che parlare di Lui – ormai se n’è parlato fin troppo – vorrei dunque spendere qualche parola, temo impopolare, su chi l’ha votato e promette di rifarlo.
Quando di recente ho scritto a un’amica italiana che capisco chi lo fa, la reazione è stata prima incredula poi furibonda. Ho provato a chiarire ma il senso di avere infranto un’ortodossia del pensiero da giorni non mi abbandona. Il fatto è che a vivere nel brodo repubblicano della Bible Belt, non appena ho smesso di sdegnarmi per le vedute ristrette dei locali mi si è schiuso un altro mondo e ho iniziato a frequentarne le ragioni. Non che le condivida, non è questo … leggi tutto