[In questi giorni, ilSaggiatore ha pubblicato per la prima volta integralmente l’epistolario di Fedör Dostoevskij,
in una traduzione del tutto nuova, a cura di Alice Farina, insieme a Giulia De Florio e Elena Freda Piredda. Pubblichiamo la lettera che lo scrittore russo mandò al fratello, il giorno in cui seppe, una volta sul patibolo, che la pena di morte era stata infine commutata dallo Zar in quattro anni di lavori forzati in Siberia.]
A M.M. Dostoevskij
22 dicembre 1849, San Pietroburgo, fortezza di Pietro e Paolo
Fratello, amico mio caro! È deciso! Sono stato condannato a 4 anni di lavori forzati nella fortezza (di Orenburg, a quanto pare) e poi nei ranghi dei soldati semplici.[1] Oggi, 22 dicembre, ci hanno portato sul patibolo della piazza d’armi Semënovskij. Ci hanno letto la sentenza di morte, ci hanno fatto baciare la croce, hanno spezzato sopra la testa le spade e ci hanno fatto la toeletta del condannato (camicie bianche).[2] Poi ne hanno messi tre al palo per eseguire la condanna. Ero il sesto, ne chiamavano tre alla volta, perciò a me toccava il secondo turno e mi restava da vivere non più di un minuto. Mi sei tornato in mente tu, fratello, e i tuoi cari; nell’ultimo istante tu, soltanto tu, eri nei miei pensieri, e lì ho capito quanto ti voglio bene, fratello mio caro!
Ho fatto in tempo ad abbracciare Pleščeev, Durov, che mi stavano accanto, e dirgli addio.[3] Alla fine è stato dato il segnale della ritirata, hanno ricondotto indietro quelli legati al palo e ci hanno letto che Sua Altezza imperiale ci risparmiava la vita. Quindi sono seguite le vere condanne. Soltanto Pal’m[4] è stato graziato. Torna nell’esercito con lo stesso grado. Mi hanno appena detto, fratello caro, che oggi o domani ci fanno partire. Ho chiesto di vederti.
Mi hanno però detto che è impossibile;[5] ti posso soltanto scrivere questa lettera, sbrigati anche tu a darmi un cenno di risposta. Temo che fossi in qualche modo a conoscenza della condanna (a morte). Dal finestrino della carrozza che ci portava sulla piazza d’armi Semënovskij ho visto una marea di gente;[6] può darsi che la notizia fosse giunta anche a te e che tu stessi in pena per me. Ora sarai più̀ sollevato.
Fratello! Non mi sono scoraggiato né perso d’animo. La vita è vita ovunque, la vita è dentro di noi, non al di fuori. Intorno a me ci saranno altri uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, qualunque disgrazia capiti, senza lamentarsi, non perdersi d’animo – ecco in che cosa consiste la vita, qual è il suo scopo. Me ne sono reso conto.
Quest’idea si è fatta di carne e sangue. È la verità! Quella testa che creava, si nutriva della vita superiore dell’arte, che ha compreso e si è abituata alle nobili esigenze dello spirito, quella testa ormai si è staccata dalle mie spalle.
Ne è rimasto il ricordo e le immagini create, ma rimaste ancora senza forma. Lasceranno cicatrici, è vero! Però in me è rimasto il cuore, e quella carne e quel sangue che ancora possono amare, soffrire, desiderare e ricordare, e in fondo anche questa è vita! On voit le soleil! … leggi tutto