di Goffredo Buccini
La morte del bambino di sei mesi fuggito con la mamma dalla Guinea per finire ucciso da soccorsi tardivi mette in luce i problemi che Ue e Italia hanno davanti
Certe immagini cambiano la storia. Così è stato, nel 2015, con Alan Kurdi, il piccolo siriano annegato davanti alla spiaggia di Bodrum in quella sua maglietta rossa che divenne un simbolo. Angela Merkel decise che la Germania doveva aprire le porte, accogliendo un milione di fuggiaschi in pochi mesi: «Ce la faremo».
Anche il cuore di molti europei si aprì, i profughi furono salutati a braccia spalancate: memorabili le scene nelle stazioni di Monaco, Vienna e Strasburgo, gli applausi di tedeschi e austriaci ai migranti che scendevano dai treni. Il 2 gennaio 2016, la Bbc notò che il dramma di Alan «fu uno di quei momenti di cui l’intero pianeta sembra interessarsi».
Per qualche tempo il piccolo profugo siriano ci costrinse a vedere nelle migrazioni un volto e un nome, anziché freddi numeri sui flussi, gli sbarchi, i naufragi. Poi ci pensarono come sempre gli attentati islamisti e le difficoltà economiche a spegnere ogni slancio. L’apertura costò a Merkel molti punti di consenso e l’avanzata dell’estrema destra in Germania … leggi tutto