Yukio Mishima nell’inferno delle forme (doppiozero.com)

di Francesco Demichelis

Se fosse possibile stabilire, in tutta la sua 
ampiezza, un canone della letteratura che ha 
preso le mosse dalla catastrofe delle due 
guerre mondiali, 

Yukio Mishima non sfigurerebbe affatto quale tardivo rappresentante di quella frangia di scrittori che si espressero sotto un segno – per riprendere una sua celebre sentenza su Hitler – cupo come il XX secolo.

“Tardivo” e “cupo” poiché rispetto agli ideali della generazione di intellettuali alla quale egli apparteneva – Mishima era nato nel 1925 – la visione del Giappone del dopoguerra restituita dai suoi romanzi ricalca con precisione i modelli formali e stilistici dell’estetismo borghese europeo di matrice decadente, rievocando tematiche e atmosfere proprie dell’epoca della crisi che investì la cultura occidentale a seguito della Prima Guerra Mondiale.

Il sentore di minaccia e di fine imminente, le laceranti scissioni dell’io, la visione idealizzata di un tempo perduto che promanano dalle sue opere, investono in pieno anche la sua figura, che oggi ricordiamo nel cinquantesimo anniversario della scomparsa.

Vi è in Mishima in effetti una coincidenza impressionante tra l’autore e l’opera sulla quale pesa in maniera pervasiva il ricordo del suo tragico destino, del gesto brutale col quale egli pose fine alla sua esistenza nel giorno stesso in cui (secondo la leggenda) egli consegnava all’editore le ultime pagine del suo lavoro più ambizioso, la tetralogia Il mare della fertilità, vera e propria opera-mondo nonché sintesi e vertice, al tempo stesso, di una produzione intellettuale stratificata lungo il corso di una vita intera … leggi tutto

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