Allah ci guarda dalla torre Eiffel (Parigi 7 aprile 1955)

di Goffredo Parise

Mi sono preso tempo fa la briga di fare una piccola in­chiesta sui nord-africani a Parigi (algerini, marocchini) e mi son reso conto immedia­tamente quale gatta da pela­re si sian presi i francesi con questa specie di impor­tazione coloniale; e in quali legittime preoccupazioni si trovino questi disgraziati da­tori di lavoro parigini, tro­vandosi davanti ogni giorno uno di questi curiosi tipi, con un grosso fagotto sotto il braccio e magari qualche mo­glie alle calcagna.

Una sera ho voluto visitare io stesso il quartiere arabo: visitare, è una parola, sareb­be molto meglio dire pene­trare. Erano le nove, c’era buio, pioveva, lo chauffeur del tassì mi conduceva di pessima voglia, verso quella estrema banlieue di Parigi che si chiama Genevilliers, sbagliando più volte strada e brontolando contro la piog­gia che cadeva fitta.

Genevilliers è una specie di grande paese, per lo più costituito di enormi fabbri­che di prodotti chimici, fan­tomatiche costruzioni che si alzano oltre gli argini della Senna in un groviglio di gru, argani e fumaioli. Inoltra­tomi da solo in questo labi­rinto, limitato da altissimi muri ciechi, dove la pioggia scendeva insieme con le sco­rie degli sfiatatoi e gli acidi dei comignoli, son riuscito, credo grazie a un mio fiuto particolare, a trovare la rue Paul-Vaillant-Couturier.

È una di quelle vie strette e su­dicie della banlieue parigina, segnata da muri di mattoni o da steccati. Dall’alto, co­me filtranti dal cielo carico di pioggia, spiragli di luce az­zurrina illuminavano appena la strada; la fabbrica da cui uscivano quelle luci era av­volta nel buio, ma doveva es­sere altissima … leggi tutto

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