Agli inizi di giugno 2020 Claudio Dozzo, titolare di una gioielleria a Mestre, ha ricevuto una telefonata dalla sua banca.
“Mi hanno chiesto se mi interessava prendere un prestito a condizioni molto vantaggiose”, ricorda. Il parlamento aveva appena approvato il cosiddetto decreto liquidità. Il provvedimento sospendeva fino alla fine del 2020 il pagamento dei debiti pregressi e dava la possibilità ai titolari di piccole attività commerciali di ottenere dalle banche prestiti fino a 25mila euro. Lo stato si faceva garante per l’intera cifra nel caso di insolvenza. I titoli di interesse erano molto bassi, ed era prevista la possibilità di rientrare in sei anni, cominciando a pagare dal terzo anno.
Dozzo, che ha anche un laboratorio orafo e produce collane e orecchini, ha risposto che non ne aveva bisogno. Gli affari per lui non erano andati male, nonostante il lockdown, perché “le persone durante la chiusura hanno risparmiato molto sugli spostamenti e sulle vacanze, e così chi ha potuto ne ha approfittato per regalarsi un gioiello”.
L’istituto di credito ha continuato a cercarlo per giorni consigliandogli di accettare l’offerta, finché un giorno un’impiegata della banca gli ha detto esplicitamente che pensavano che “la mia era un’azienda sana e che volevano usarmi come cavia” per testare sui clienti i nuovi prestiti previsti dalla legge. Il gioielliere alla fine ha acconsentito e quattro giorni dopo “i soldi erano già sul mio conto”.
Negli stessi giorni a Cittanova, nella piana di Gioia Tauro, milleduecento chilometri più a sud, Michele Luccisano cercava di capire come mandare avanti la sua azienda agricola che produce olive, bergamotti e kiwi gialli raccolti nei terreni ereditati dalla sua famiglia. Era sopravvissuto ai tentativi di una delle più potenti cosche della ‘ndrangheta di impossessarsi della sua attività, aveva fatto arrestare e condannare i suoi persecutori subendo per questo attentati e furti, ma in quei giorni rischiava di doversi piegare agli effetti economici della pandemia … leggi tutto