di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
A oggi, in Italia, i guariti ufficiali dal Covid-19, cioè coloro a cui è stata diagnosticata la positività al virus e poi la sua scomparsa, superano il milione.
Il 61% coinvolge la popolazione nell’età più produttiva (dai 20 ai 59 anni), il 26% dai 60 anni in su, il 13% dai 19 anni in giù. Il 51,5% femmine, il 48,5% maschi. Tutte queste persone possono essere considerate immuni?
Calano gli anticorpi, ma resta la memoria
Numerosi studi ormai concordano: quando si contrae il Covid, il 93% dei contagiati produce gli anticorpi neutralizzanti (del Fante et al., Transfusion 2020) . La loro funzione è quella di impedire al virus di penetrare nelle cellule. Ciò succede tra i 6 e i 20 giorni dal contagio (Quan-Xin long, Nature Communication 2020) e il meccanismo è questo: dopo l’infezione si attivano i linfociti B che producono gli anticorpi IgM, IgG e IgA.
Un loro sottoinsieme (IgG e IgA) è quello che poi riesce a rendere innocue le nuove particelle virali. Gli anticorpi neutralizzanti, a loro volta, si accompagnano all’attivazione delle cellule killer (linfociti T), specializzate nel riconoscere e nel distruggere il virus (Cassaniti et al., in preparation-confidential).
Tutta questa spiegazione è utile a capire perché, quando il Covid attacca, la risposta immunitaria è doppia (linfociti B e T). Una volta superata l’infezione, nelle settimane o nei mesi successivi, gli anticorpi calano: non c’è più il virus, non c’è più bisogno di loro.
Nell’organismo però restano le cellule memoria, pronte a intervenire in caso di necessità. L’ipotesi che il calo di queste «difese» esponga quindi a un nuovo ricontagio viene smentita … leggi tutto