Il musicista racconta il danno economico subìto dal suo festival, la voglia di sperimentare, lo stato di salute del jazz italiano:
«Ci sono giovani straordinari, spero che il sistema gli dia tempo per crescere»
Paolo Fresu è un jazzista di livello mondiale. Ha registrato oltre quattrocentocinquanta dischi, di cui circa novanta a proprio nome, e tantissime collaborazioni internazionali. Si può quindi considerare, senza timore di essere smentiti, un patrimonio dell’Italia. Ma il nostro paese, è risaputo, non sempre (o quasi mai) è in grado di valorizzare le proprie eccellenze.
L’ennesima riprova si è avuta nei giorni scorsi, quando il festival Time in Jazz, da lui fondato e diretto, è uscito dalla graduatoria degli aventi diritto ai contributi finanziati dalla legge 7 della Regione Sardegna, cioè non più considerato di grande interesse turistico. Il tutto per soli 4 secondi.
Un tempo “rubato” che non ha niente a che vedere con la musica, quanto con un bando a sportello che a causa di un click appena ritardato ha mandato in fumo 60mila euro che erano già stati promessi all’evento – così come ad altre realtà – svoltosi ad agosto e che ora si trova con un consistente buco nel bilancio.
«I fondi sono in mano a incompetenti» ha detto Fresu, chiedendo persino le dimissioni dell’assessore al Turismo Gianni Chessa, che naturalmente si è guardato bene dal presentarle.
Eppure, la manifestazione, tra le prime a ripartire nonostante l’emergenza Covid, non solo aveva fatto registrare zero contagi in otto giorni nonostante cinquanta concerti e attività parallele dedicate a infanzia, cinema, editoria, enogastronomia e green – mentre le discoteche collezionavano un focolaio dopo l’altro –, ma soprattutto è stata in grado di produrre un indotto economico per l’isola di 3 milioni di euro netti, secondo uno studio indipendente … leggi tutto