Milano. Momento distopia quotidiano al piano binari della stazione centrale:
per andare a ritirare un sacchetto di cioccolatini c’è da attraversare un posto di controllo con militari in mimetica che verificano identità, destinazione, eventuale autocertificazione. Il negozio di una nota cioccolateria torinese si trova nell’area partenze, dove ci sono il controllo biglietti e il termoscanner a distanza.
Oltrepassati i varchi, arrivati al negozio, finalmente si estrae il telefono, si mostra l’ordine alla commessa, si respinge con garbata fermezza la sua offerta speciale, e si ritira un sacchetto sigillato con dentro una selezione casuale di cioccolateria, dai cremini alle scaglie di uovo pasquale nocciolato, anche da riciclare come regali.
La parte interessante, per molti, è che si sono spesi nove euro anziché 25 (valore calcolato sui prezzi del negozio), sia pure per merce che sta per essere tolta dagli scaffali, tipicamente perché sta per scadere ma non necessariamente. E ciò mediante l’app Too good to go (Tgtg) che, nata in Danimarca nel 2015, raccoglie oggi più di venti milioni di utenti tra Europa e Stati Uniti (circa 1,9 milioni in Italia, secondo le stime dell’azienda).
Un esercito di cacciatori di affarucci che la piattaforma mette in contatto: da un lato i negozianti alle prese con un cronico accumulo di merce invenduta e con date di scadenza alle viste; dall’altro, i consumatori desiderosi di risparmiare sulle spese alimentari.
In pratica è l’equivalente della sharing economy del fare l’ultimo giro al mercato, quando le bancarelle smontano, per spuntare qualche chilo di frutta e verdura a prezzi stracciati. Ma attenzione, c’è anche il concept etico: combatti lo spreco, registrati e diventa waste warrior. In Italia ogni famiglia getta cibo per un valore di quasi cinque euro alla settimana, in totale 6,5 miliardi all’anno, secondo una ricerca della Coldiretti/Ixè.
A scatola chiusa
Diventare waste warrior significa semplicemente scrollare l’app sui telefoni, individuare opportunità d’acquisto, cliccare, comprare, ritirare. Svoltare la cena, volendo; o anche solo una merenda. I croissant e le graffe di stamattina dal fornaio; una vasca da un chilo (che vien via a nove euro anziché a 24) di gusti che il pur rinomato gelataio non riesce a smerciare (tamarindo e finocchio?); le specialità su cui il negoziante si è troppo entusiasmato.
Ogni cosa viene venduta al 30-50 per cento del prezzo originale, e a scatola chiusa; l’effetto sorpresa può anche tradursi nell’acquisto involontario di tre barattoli di crema al cocco o improbabili bevande tropicali; toast senza speranza tipo la Luisona di Stefano Benni. O cavoli consimili. D’altronde se è merce invenduta, una ragione ci sarà … leggi tutto