Le nostalgie pubbliche che costano almeno 12 miliardi (corriere.it)

di Federico Fubini

Nell’ultimo anno o poco più il governo o le sue 
società controllate hanno impegnato a vario titolo 
oltre dodici miliardi di euro per interventi 
pubblici. 

Da Alitalia alla Diesel di Renzo Rosso, dal sistema di pagamenti Sia alle acciaierie di Taranto, passando dalla Popolare di Bari, fino alle cartiere Burgo. Alla fine il conto sarà più alto perché per ora non include l’ingresso in Autostrade, né il progetto della rete unica a banda larga o l’ipotesi dei centri dati in cloud a partecipazione statale (impegni non ancora misurabili).

Né tiene conto dei trasferimenti diretti per ben oltre cento milioni alle società sportive pubbliche affidate a ex stretti collaboratori di alcuni ministri, delle garanzie pubbliche già estese per quasi centocinquanta miliardi o degli interventi a venire di un fondo da altri 44 miliardi chiamato «Patrimonio destinato».

Il tratto comune di questo labirinto di interventi — alcuni necessari, altri no — è l’assenza della porta d’uscita. Non molte volte emerge un piano industriale chiaro; di rado si intravede la certezza che ci si doti di competenze adeguate e si tuteli l’indipendenza di tutte le persone di vertice delle aziende partecipate; quasi mai si afferma che la mano pubblica intende vendere e ritirarsi, una volta portato a termine un salvataggio.

Su questi punti sarebbe utile l’opinione di Roberto Gualtieri, dato che è il garante dell’uso delle nostre tasse, ma in proposito il ministro dell’Economia non si è mai pronunciato con chiarezza. Eppure indicare in lui l’unico responsabile sarebbe troppo semplice. Racconta l’amministratore delegato di una grande azienda privata che, in un recente tour fra i leader dei principali partiti, ha avuto una folgorazione. Ha capito che quelli — combattendosi, odiandosi — erano tutti d’accordo su un punto: più Stato nell’economia, più denaro dei contribuenti nei gangli del sistema produttivo, tanto poi le leve vengono mosse dai loro partiti.

Qui veniamo al paradosso di questo scorcio di 2021: poiché l’Italia ha finalmente ottenuto in Europa quel che chiedeva da vent’anni, il governo rischia di cadere … leggi tutto

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