di Carlo Canepa
Lo hanno sottolineato sia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi: uno dei compiti principali del nuovo governo sarà quello di gestire i gravi effetti che la pandemia ha avuto sull’economia e la società.
E tra le emergenze nell’emergenza, quella del mondo del lavoro è ai primi posti per le conseguenze che ha avuto e avrà sulla vita di milioni di italiani.
Proprio su questo tema, negli ultimi mesi politici e mezzi di informazione hanno ripetutamente elencato una serie di numeri: sui posti di lavoro persi con le chiusure e su quelli recuperati con le riaperture, rivendicando o criticando i risultati di provvedimenti come il blocco dei licenziamenti e l’estensione della cassa integrazione. Ma anche di misure precedenti alla crisi, come il “reddito di cittadinanza” e “quota 100”.
Avere un quadro preciso della situazione non è semplice, vista l’incertezza generale. Nonostante questo, dati alla mano, è possibile porre alcuni punti fermi per capire il contesto in cui ci troviamo e per renderci conto di come una serie di interventi – quelli per le donne e i giovani – debbano essere prioritari rispetto ad altri.
Quanti occupati si sono persi nel 2020
Partiamo con i numeri crudi sull’occupazione. Il 1° febbraio l’Istat ha pubblicato i dati – ancora provvisori – su occupati e disoccupati in Italia aggiornati a dicembre 2020, che ci permettono di quantificare l’impatto avuto fino a oggi dalla pandemia sul mondo del lavoro. Prima di addentrarci nelle cifre, sono necessarie almeno due osservazioni.
La prima: le statistiche mensili dell’Istat sono una fotografia parziale del contesto in cui ci troviamo e vanno interpretate con molta cautela se si vogliono, per esempio, cercare legami di causa-effetto. La seconda osservazione, che in apparenza può sembrare soltanto di semantica, riguarda invece i termini in gioco. Quando l’Istat parla di “occupati”, fa riferimento a quelle persone che, nella settimana in cui sono state intervistate per la raccolta dei dati, hanno dichiarato di aver svolto «almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura».
La categoria degli “occupati” è dunque più ampia di quella che comunemente si intende con “posto di lavoro”, ossia un impiego continuativo e stabile …leggi tutto