di Matteo Pascoletti
Queste ultime settimane hanno visto una mobilitazione mondiale, come mai prima d’ora nella storia, per sensibilizzare sul problema del cambiamento climatico e sulle conseguenze del riscaldamento globale, e chiedere interventi strutturali per affrontare un’emergenza anch’essa senza precedenti.
Per quanto suoni altisonante e spaventoso, siamo in una fase critica per la nostra specie: da troppi anni i climatologi sono Cassandre ora ignorate, ora screditate, ora messe al fianco di ciarlatani che ne offuscano gli allarmi. Questa sensibilizzazione di massa è un fenomeno recente: come ricordava su Twitter il giornalista Federico Nejrotti, autore del documentario Venezia 2100, nel 2017 chi era interessato a queste tematiche si sentiva stretto tra l’urgenza del problema e la sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica.
Tuttavia questa estesa agenda politica che passa per attivisti come Greta Thunberg, per il movimento Extinction Rebellion, per le manifestazioni #FridayForFutures e che nella settimana dal 20 al 27 settembre è culminata nel #ClimateStrike, cui hanno aderito da tutto il mondo, incontra delle forti resistenze da parte di chi, a vario titolo, vede come il fumo negli occhi l’apertura di uno spazio politico per le tematiche ambientaliste, proiettato in un orizzonte politico a breve termine. Così assistiamo a vere e proprie strategie per distogliere l’attenzione, o per denigrare e delegittimare chi porta avanti queste istanze … leggi tutto