Nel dopo-pandemia rischio marginalità per gli immigrati (lavoce.info)

di Tommaso Frattini e Tommaso Sartori

La crisi economica causata dalla pandemia ha 
avuto gli effetti più duri sui 
lavoratori immigrati. 

È cresciuta per loro la probabilità di perdere il lavoro ed è aumentato il divario occupazionale con gli italiani, soprattutto per le donne.

I migranti nel mercato del lavoro italiano

La crisi economica globale innescata dalla diffusione del coronavirus è stata particolarmente forte in Italia, dove secondo l’Oecd nel 2020 il Pil si è contratto del 9,1 per cento rispetto all’anno precedente, contro un calo medio del 7,5 per cento nell’area euro.

Due recenti interventi su lavoce.info hanno notato come i lavoratori migranti siano stati più esposti degli autoctoni alle conseguenze negative della recessione. Nel Quinto Rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni del Collegio Carlo Alberto e del Centro Studi Luca d’Agliano, abbiamo analizzato le conseguenze che la crisi da coronavirus ha avuto sui lavoratori immigrati Italia nel suo periodo inziale, utilizzando i microdati della Rilevazione sulle forze di lavoro Istat fino al secondo trimestre 2020.

Nel 2019, la probabilità di occupazione dei residenti stranieri in Italia era di 1,3 punti percentuali inferiore rispetto a quella degli italiani (rispettivamente 65,2 e 66,5 per cento nella fascia di età 25-64). Inoltre, il tipo e le condizioni di lavoro svolto differivano tra le due popolazioni. I lavoratori immigrati avevano una maggiore probabilità di essere assunti con un contratto a tempo determinato rispetto ai lavoratori italiani (24 per cento contro 14 per cento).

Come nel resto d’Europa, anche in Italia i lavoratori stranieri avevano una probabilità maggiore rispetto a quella degli autoctoni di svolgere una professione ritenuta dalla Commissione europea “essenziale” per la risposta alla pandemia (rispettivamente 42 per cento e 31 per cento). Appartengono alla categoria “essenziali” non solo le professioni mediche, ma altri lavori – anche poco qualificati – che sono indispensabili per il funzionamento delle nostre economie durante l’emergenza sanitaria, come i trasportatori, i netturbini o gli addetti alle pulizie.

L’Italia è il paese europeo dove la differenza tra la percentuale di immigrati e nativi in professioni essenziali è maggiore (11 punti percentuali contro una media Ue di 6 punti percentuali). Tuttavia, la concentrazione nei settori industriali che hanno potuto continuare le attività durante il lockdown della primavera 2020, e che hanno quindi probabilmente risentito meno in termini occupazionali rispetto a quelli ai quali è stato imposto lo stop, è inferiore fra i migranti che fra gli italiani: circa il 50 per cento degli stranieri lavorava in uno di questi settori, contro il 58 per cento fra gli italiani … leggi tutto

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