Quando chiedo ad Adal perché è importante ricordare, lui risponde con un tono pacato che “accade ancora, dobbiamo ricordare alla comunità internazionale che l’umanità ancora annega e ha bisogno di aiuto”. Adal ha perso il fratello più piccolo, Abraham, 27 anni.
“Scappava dall’oppressione del regime eritreo, è sopravvissuto alle torture in Libia ed è annegato davanti Lampedusa, ad un passo dalla salvezza”, dice Adal guardandomi dritto negli occhi. Ha ragione Adal, succede ancora oggi: il regime eritreo ancora opprime, in Libia le milizie continuano a torturare, nel Mediterraneo si continua ad annegare: oltre 15 mila morti solo negli ultimi 5 anni, dal 2014, un anno dopo la strage che si commemora adesso, quella del 3 ottobre 2013.
Abraham, il fratello di Adal era su quel barcone che si è rovesciato a mezzo miglio dalle coste dell’isola di Lampedusa. Ora è sepolto nel cimitero di Mazzarino, nel cuore della Sicilia. Sulla lapide c’è ancora scritto il suo nome a penna, è stato Adal a scrivere il nome del fratello su quella lapide mentre la madre appena arrivata dall’Eritrea piangeva sullo sfondo. Non c’era scritto nulla, non un nome e neanche il numero del cadavere che avevano riconosciuto a fatica dopo giorni in mare, identificato solo grazie ad una piccola bibbia e ad un anello.
Delle 368 vittime di quella tragedia solo 70 sono state identificate, quelle recuperate nelle prime ore dal naufragio e, quindi, ancora riconoscibili … leggi tutto