L’impiccione, il Sultano e «Giuseppi» (il manifesto)

di Tommaso Di Francesco

C’era da aspettarselo. Donald Trump, sempre più isolato e pressato internamente, perfino dall’interno della Cia, dalla vicenda dell’impeachment e dalla crisi della sua politica di arroccamento aggressivo dei dazi, reagisce all’esterno con l’iniziativa di un’altra guerra per procura che ha la faccia tosta di annunciare come ritiro «da queste guerre ridicole».

Lui l’isolazionista, il sovranista, che poteva vantarsi finora di non avere avviato una nuova guerra ma «soltanto» di avere continuato quelle iniziate dall’ideologia militarista «umanitaria» democratica, ecco che dà il via libera all’esercito turco perché invada il nord della Siria, abbandonando al loro destino i curdi che diceva di voler proteggere.

Naturalmente non è una guerra diretta. La lezione dei conflitti armati diventati gravosi e alla fine esternalizzati e privatizzati dalle precedenti amministrazioni Usa, è servita. Niente «scarponi a terra», ma un populistico «addio alle armi» che in realtà è un bellicoso placet al Sultano Erdogan perché porti avanti la sua offensiva. Ora il presidente turco, già sponda economica e logistica dell’Isis – proprio mentre la roccaforte jihadista di Idlib non è ancora caduta -, può andare alla guerra totale contro quelli che chiama «i terroristi curdi»; gli unici che, con le forze iraniane e gli Hezbollah, abbiano conteso in armi il terreno allo Stato islamico e ad Al Qaeda … leggi tutto

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